la Repubblica, 16 marzo 2016
Breivik che fa il saluto nazista, discutiamone
«Cercava una ribalta per lanciare il suo messaggio d’odio proprio in quest’ora difficile per l’Europa: la causa per le condizioni di detenzione è un pretesto. Ma la democrazia si difende più lasciando che i suoi nemici mostrino il loro volto, che non scegliendo a chi limitare la libertà». Ingar Johnsrud, il grande nuovo talento della letteratura norvegese, pubblicato in Italia da Einaudi (con il thriller Gli adepti), commenta a caldo.
Che impressione ha fatto a lei e alla Norvegia il saluto nazista di Breivik, il killer di Utoya, in aula?
«Voleva attirare attenzione sapendo che l’avrebbe ottenuta con un simile gesto provocatorio. Perciò ha denunciato il governo norvegese sulle condizioni di detenzione. È in isolamento da 4 anni e mezzo. Al processo da cui uscì condannato, si dichiarò “crociato difensore dell’Occidente”, ora si proclama nazista, sognava l’attimo della provocazione».
Provocazione innocua o no?
«La maggioranza di chi gli scrive sono neonazisti. Esteuropei, russi, americani. Stamane voleva sentirsi uno di loro. La novità è la sua fede nazista dichiarata. Vuole risvegliare i fantasmi del passato, rimossi ma non morti anche qui nel Nord».
Lei che narra di criminali, giudica Breivik folle o lucido?
«Solo lui potrebbe narrare appieno il suo “itinerarium mentis” nell’odio nazista. Sembra essersi fatto lucidamente da solo il lavaggio del cervello. Partendo dal delirio d’essere il templare salvatore contro l’Islam, è diventato nazista. Senza pentimenti per i ragazzi che massacrò, né per le lacrime dei loro familiari. Prova empatia solo per se stesso».
Quanto è pericoloso ora tra tensioni, emozioni e odii accesi dalla sfida dei migranti?
«È pericoloso: può essere visto come ispirazione. È il grande timore della società norvegese. Vivrà in prigione tutto il resto della sua vita, crediamo. Ma l’Europa e il mondo di oggi sono più aggressivi, che si sia pro o contro la migrazione: ecco lo sfondo del suo saluto nazista. La gente ha diritto di avere paura del futuro: temere la migrazione o criticare i governi non significa essere con Breivik. Da noi anche chi è contro i migranti si distanzia forte e chiaro da lui. Ma Breivik può ispirare estremisti da esempio e aspirante martire, sapendo che vedrà in prigione l’ultimo giorno».
Può contagiarli?
«Può essere un’ispirazione per l’ultradestra decisa alla violenza, vuole questo ruolo. Ciò separa la critica normale, anche nel dibattito politico con le nuove destre, da chi è pronto a spargere sangue. A rischio di zone grigie».
Fino a dove la democrazia può dar diritto di parola a messaggi come il suo?
«Una società aperta ha bisogno di dibattiti, immagini, messaggi aperti. Dobbiamo mostrare il volto di nazismo, razzismo, fondamentalismo islamico, e discuterne. Tale valore costitutivo ci separa da altri sistemi di valori. Significa accettare il rischio che qualcuno veda in Breivik l’eroe. Certo, dopo il saluto nazista, occorre discutere. Equilibrio difficile. La Norvegia sceglie da democrazia di trattarlo come ogni altro criminale. Facciamo così anche col mullah Krekar predicatore d’odio, altro ospite delle nostre prigioni. Dilemmi delicati: tocchiamo l’anima della democrazia e i suoi confini della parola libera. Se cominci a scegliere chi può parlare nella società democratica, non è più democrazia. Insidiosa zona grigia. Devi credere che la società democratica, anche tra sussulti, emozioni, disaffezioni di oggi, sia più forte, per mostrare a Breivik e ai suoi seguaci che siamo migliori. Non è facile, tra sfide di migrazione, problemi sociali, nuova aggressività russa… addio anche qui al Nord all’illusione che prima il dopo-1945 poi il 1989-90 fondassero una pace eterna. La normalità europea può tornare a essere fatta di conflitti e odio».
La nuova intolleranza prodotta dal confronto sui migranti è il nuovo pericolo?
«Sì. Come le richieste su poteri crescenti di controllo dei servizi ovunque nella nostra vita privata. Se per difenderci dal terrorismo o da gente come Breivik compromettiamo tanti valori costitutivi mantenere l’equilibrio è sfida ardua».
Quanto grande è stato lo shock di quel saluto nazista per i norvegesi, e per le famiglie delle sue vittime?
«Shock, ma non sorpresa. Da lui incapace di pentimento ed empatia non si aspettavano altro. Per il Nord lui è il simbolo di una verginità perduta, di perdita del paradiso, del nostro modello. Prima di lui non ritenevamo possibile un simile orrore in Scandinavia. Da un giorno all’altro, il nostro mondo ci cambiò addosso. Ben prima del Bataclan, ci sentimmo uguali agli altri concittadini del pianeta».