la Repubblica, 16 marzo 2016
«A Roma si parla troppo, si ascolta poco e si fa ancora meno». Il commissario Tronca racconta come sta andando il suo lavoro
«A Roma c’è un problema etico». Il commissario Francesco Paolo Tronca ha sulla scrivania, nel suo ufficio al Campidoglio con vista Fori, la relazione dell’Autorità anti-corruzione: tutti a vario titolo irregolari gli appalti del Comune nel triennio 2012-2014. Tronca non è stupito sull’esito dell’indagine: «Ora bisogna dare – dice – un segnale molto forte per ripristinare la catena della legalità».
Veramente, commissario, l’impressione che si ricava dal lavoro dell’Anac è che di questa catena, a Roma, non sia rimasto un solo anello.
«Siamo davanti a una illegalità portata a sistema. Abbiamo già preso alcune contromisure: rotazione del personale, centrale unica di committenza ed è in fase di costituzione un sistema di audit interno. Bisogna fare di più e intervenire chirurgicamente».
Revocherà gli appalti irregolari?
«Certo. Io non posso oltrepassare la linea rossa dell’ordinaria amministrazione ma è un dovere fare tutto quanto è nelle mie facoltà per invertire la tendenza. Ho messo al lavoro da tempo una squadra per setacciare tutte le aree grigie. Tra venti giorni circa avremo i risultati di questa indagine su tutti i settori a rischio. Revocheremo gli appalti di cui sarà accertata l’irregolarità, sanzioneremo i responsabili. E gireremo il materiale degno di approfondimento a Procura e Corte dei conti».
L’amministrazione capitolina, dice Cantone, agisce fuori dalla Costituzione.
«I paletti della Costituzione sono inequivocabili. Qui c’è chi pensa che siano elastici. Compito delle istituzioni è sviluppare una sensibilità avanzata per fiutare ogni anomalia. La mafia si combatte anche così, non occorre aspettare il morto ammazzato per strada».
Ma è mafia questa deriva? O un malcostume ormai fisiologico?
«La corruzione è sempre una patologia, spesso costituisce il primo segnale della presenza della mafia. Non bisogna farsi ingannare dalla portata economica dei contratti. Da anni la criminalità preferisce i piccoli appalti perché può lavorare sotto traccia. Per questo si abbassa la soglia dei singoli affari ma non il peso complessivo della corruzione».
Ma quale è il confine tra le colpe della politica e quelle degli uffici tecnici del Campidoglio?
«C’è un confine? Questo sistema di opacità vive nella nebbia, sulla capziosa interpretazione delle norme, perché è il terreno ideale per lasciar prevalere l’interesse privato su quello pubblico. Ma la prevenzione è possibile. A Milano, per Expo, proprio con il presidente Cantone abbiamo messo in campo un sistema capillare di verifica, varando 95 misure interdittive».
Sulla corruzione Milano ha gli anticorpi, Roma no. L’ha detto Cantone.
«Guardi, sulla base di quello che ho visto, sarebbe facile dargli ragione. Ma voglio porre la questione in modo diverso. Roma ha risorse incredibili per scrollarsi di dosso le incrostazioni e le ambiguità che si sono stratificate nel corso di decenni».
La legalità non sembra il tema chiave della campagna elettorale. Si parla di rom, di mamme-sindaco...
«A Roma si parla troppo, si ascolta poco e si fa ancora meno. Questo non è il momento di parlare bensì di agire».
Per agire occorre che la nuova giunta sia investita di un mandato forte. Come si convinceranno i romani ad andare alle urne se questo è il risultato di anni di malgoverno?
«Sulle dinamiche elettorali non metto bocca. Dico solo che bisogna rompere la spirale di rassegnazione e assuefazione all’illegalità. Soprattutto, bisogna sradicare dalla città la convinzione che a guidare la macchina capitolina sia una burocrazia che tutto complica e rallenta».
Gli uffici si sono difesi invocando la carenza del personale.
«La carenza di personale c’è. Ma non può diventare un alibi. Si può supplire con una riorganizzazione. Ai romani deve essere chiaro che la legalità non è negoziabile, non ha prezzo. Ha ragione Pignatone a dire che la legalità inizia dalle buche. Le buche stradali, certo. E anche quelle etiche».
Tra non molto lascerà il posto al sindaco eletto. Si dice che tutti abbiano timore di vincere. Il Campidoglio fa paura?
«Posso parlare per me: paura no. Sapevo di dovermi confrontare con una situazione che richiedeva il massimo di impegno e grande forza di volontà. Ma sono mosso da una convinzione: alla fine, lo Stato vince sempre».