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 2016  marzo 16 Mercoledì calendario

Il pasticcio della polizia belga

Sferrato a “ore pasti”, come la più routinaria delle operazioni di polizia, il “blitz” di Forest che doveva stringere su un’abitazione di «significativo interesse investigativo e informativo» perché «sospetto domicilio» di appartenenti alla struttura logistica degli attentati di Parigi, si trasforma in una catastrofe. Che lascia sull’asfalto un morto che si voleva e doveva prendere vivo e che, a sera, fonti della Procura di Bruxelles, definiscono «dall’identità ignota alla giustizia belga», nonché quattro agenti feriti e che conta almeno uno, se non due latitanti. Che soprattutto conferma – ed è il dato insieme più desolante e preoccupante – la profondità e la sostanziale libertà di movimento di cui continua a godere la filiera jihadista sull’asse Bruxelles-Parigi e la facilità con cui il dispositivo di sicurezza belga e la capitale delle istituzioni europee riescono a essere non solo perforati ma addirittura messi in scacco. Con una città che collassa in diretta televisiva.
In rue du Dries, su segnalazione della Procura di Parigi, la polizia belga ha bussato a un appartamento che nessuno aveva messo sotto osservazione non solo nei giorni, ma neppure nelle ore precedenti al “blitz”. E che, dunque, verosimilmente riteneva vuoto. Al punto da impegnare nell’operazione pochi uomini, cui erano stati aggregati agenti arrivati dalla Francia, e decidere di collocarla in un orario, le 14.30, a cui a nessuna latitudine del pianeta si immagina di poter “prendere di sorpresa” chicchessia.
Né le parole del primo ministro belga Charles Michel – che, a sera, prova a condividere le responsabilità del disastro con Parigi, sottolineando che l’iniziativa è figlia del “Joint investigation team” franco-belga costituito dopo le stragi del 13 novembre 2015 – riescono a dissimulare l’affanno con cui, ancora una volta, polizia e servizi belgi si ritrovano a inseguire la minaccia jihadista nel proprio cortile di casa. Ne sono testimonianza la rabbia con cui, nella notte (a beffarda dimostrazione che anche in Belgio le operazioni di polizia, se necessario, possono essere condotte con il buio), vengono disposte nuove perquisizioni a Forest, nella zona di Place sant Denis, il volo incessante e sinistro di elicotteri sulla città e l’urgenza con cui Polizia federale prima e Procura di Bruxelles poi si affrettano a precisare che Salah Abdeslam e Mohamed Abrini, i due principali ricercati per le stragi di novembre, non erano e non sono l’oggetto della nuova caccia. Con un solo effetto. Ricordare al Belgio e al resto dell’Europa che quei due uomini inseguiti da un mandato di cattura internazionale non solo sembrano essersi volatilizzati nel nulla ma – per quanto confermano a Repubblica fonti qualificate della nostra intelligence – sono ormai da mesi assenti dalle informative dei Servizi belgi (l’ultima segnalazione risale ormai a oltre due mesi fa e voleva Salah diretto verso l’Olanda, nella zona di Rotterdam).
Né si può dire che, nelle scorse settimane, fossero mancati i segnali di una città ancora saldamente occupata da una filiera jihadista con significative capacità di reclutamento e dunque tutt’altro che sbandata dalla pressione che il governo belga, all’indomani delle stragi, pure aveva promesso di esercitare attraverso una rinforzata attività di prevenzione. Il 10 febbraio, una serie di perquisizioni a Molenbeek, il quartiere dove erano cresciuti i fratelli Abdeslam e Abdelhamid Abaaoud (il “ring leader” del commando che colpì Parigi in novembre), aveva infatti portato all’arresto di 10 islamisti accusati di aver avviato alla Jihad in Siria decine di volontari. Mentre 11 sono ancora gli indagati detenuti in Belgio perché legati, a titolo diverso, ai fatti di Parigi. Fra loro, Mohamed Amri e Hamza Attou (i due amici di Salah Abdeslam che lo riportarono da Parigi a Bruxelles il 14 novembre), così come i “fiancheggiatori” Lazez Abraimi e Ali Oulkadi. Anche loro legati a Salah. Altri 5 sospetti sono stati fermati in Germania, Turchia, Austria e Marocco.
Insomma, alle 22, insieme al morto, i feriti e i latitanti, restano solo gli annunci. Il primo del governo belga per annunciare che, questa mattina, il premier presiederà l’ennesimo Consiglio nazionale per la sicurezza. Il secondo, un anodino comunicato con cui il procuratore di Bruxelles, Eric van der Sypt, nel rispetto della tradizione del Paese, ufficializza il già noto, spiega «che l’identità del sospetto rimasto ucciso è ancora in via di accertamento» e che «nessun altro dettaglio può essere fornito dell’inchiesta in corso per non nuocere alla sua riuscita». Il resto l’Europa e le sue polizie lo sapranno oggi. Forse. In una conferenza stampa fissata per le 10.30.