Corriere della Sera, 16 marzo 2016
Un giorno di ordinario terrore a Bruxelles
Ivo Caizzi per il Corriere della Sera
BRUXELLES Una normale perquisizione anti-terrorismo delle polizie belga e francese, nell’ambito delle indagini sugli attentati di Parigi, ha provocato varie sparatorie e ha riportato la capitale del Belgio nel clima di massima tensione esploso nel novembre scorso. Secondo la polizia, che ha bloccato completamente gli accessi a una ampia parte del comune cittadino di Forest, il bilancio sarebbe di quattro agenti feriti e un presunto terrorista ucciso, mentre uno o forse altri due sarebbero riusciti a fuggire. Le autorità belghe hanno chiarito solo che la vittima non è il ricercatissimo Salah Abdeslam, accusato di aver partecipato agli attentati di Parigi in novembre e nascostosi subito dopo a Bruxelles, dove i quartieri a maggioranza islamica di Moleenbeek e Schaerbeek sono ritenuti un epicentro del reclutamento jihadista in Europa.
L’alta tensione è esplosa nel primo pomeriggio, quando poliziotti belgi e francesi si sono presentati in un appartamento in rue du Dries a Forest, ritenuto vuoto. Secondo la polizia, da dentro avrebbero aperto il fuoco con un kalashnikov. Immediatamente sarebbero stati chiamati rinforzi in massa. Un elicottero ha iniziato ad appoggiare l’operazione. Gli accessi alla zona sono stati bloccati, impedendo ai residenti di rientrare. Chi era a casa è stato avvisato di non uscire e di non affacciarsi alle finestre. Alle tv è stato chiesto di non trasmettere immagini delle operazioni.
Testimoni sul posto avrebbero udito quattro diverse sparatorie. Fino a notte non è stato chiarito da dove siano partiti i colpi che hanno ferito lievemente tre agenti belgi e, secondo il ministero della Giustizia, anche una poliziotta francese.
Numerosi genitori sono rimasti in preoccupata attesa dei figli bloccati in due scuole e due asili vicini a dove sono iniziate le sparatorie. Le autorità locali hanno ritenuto ad alto rischio soprattutto la situazione dell’asilo Le Dries e della scuola Le Cordée, situate nella stessa rue du Dries dove sono partiti i primi colpi. Hanno così imposto di mantenere gli alunni negli edifici scolastici fino al termine di quella che era diventata una gigantesca e drammatica caccia ai presunti terroristi. I genitori sono stati poi informati della possibilità di non poter riprendere i figli per tutta la notte. Si valutava di trattenerli a dormire nelle scuole per non rischiare di farli uscire con il buio quando non si potevano ancora escludere ulteriori sparatorie. Una insegnante della scuola Le Cordée ha telefonato per rassicurare che gli scolari avevano mangiato e che all’interno tutto era sotto controllo. L’asilo Petits Matelots è stato il primo a essere evacuato. Intorno alle 19 il borgomastro di Forest Jean-Marc Ghysseels ha fatto sapere che la polizia aveva deciso di iniziare a far uscire anche gli altri bambini usando le massime precauzioni.
A tarda sera il premier belga Charles Michel ha comunicato che l’operazione anti-terrorismo era ancora in corso. La zona di Forest inaccessibile è stata ridotta. Gli abitanti impossibilitati a rientrare nelle loro case sono stati alloggiati e sfamati in edifici comunali.
Marco Imarisio per il Corriere della Sera
BRUXELLES «Adesso mi scusi, vado da mia figlia». Jan de Vos la vede arrivare con i suoi compagni dalle vetrate della palestra comunale in boulevard de la Deuxieme Armée britannique. I bambini risalgono la strada camminando in mezzo alla carreggiata vuota, tra due ali di soldati che li scortano in assetto da guerra, lanciando sguardi preoccupati verso i tetti dei palazzi.
Sono le 19.30, e forse anche questa ennesima giornata di terrore urbano sembra giunta al termine. «E’ tutto finito» urla un ufficiale di polizia battendo le mani per mettere fretta a grandi e piccini. Sappiamo che l’operazione cominciata cinque ore prima si è conclusa, un sospetto terrorista, o fiancheggiatore di terroristi, è stato ucciso, un altro arrestato, un altro forse è in fuga. Ma tanto basta. I genitori appoggiati ai muri del campo polisportivo smettono finalmente di compulsare i loro telefonini, i loro volti riprendono colore, qualcuno piange, di sollievo e di nervosismo. I passeggeri del tram 97, rimasti chiusi per ore nella carrozza alla fermata di Stalle, appena dietro il cordone di sicurezza, con un militare che per ore li invitava «a tenere giù la testa», vengono fatti scendere. Gli abitanti del quartiere possono rientrare nelle loro case, ma accompagnati da un agente, e dopo aver fornito le proprie generalità.
Le case in mattoni rossi fanno pensare a Molenbeek, il sobborgo di Bruxelles dove in fondo tutto è cominciato, la culla dove sono nati e cresciuti la mente e gli esecutori della strage di Parigi dello scorso 13 novembre. Ma Forest non è un posto di frontiera, è una città di cinquantamila abitanti, una delle più grandi e più verdi dell’area metropolitana di Bruxelles. L’appartamento si trova all’ultimo piano di una palazzina semiabbandonata in fondo a rue du Dries, una piccola via del quartiere multietnico. Gli inquirenti lo avevano segnalato come una possibile base utilizzata da Samir Bouzid e Soufiane Kayal, i due uomini di nazionalità ancora sconosciuta sospettati di aver aiutato Salah Abdeslam a preparare la logistica dei massacri dello scorso novembre.
Era l’ultimo domicilio conosciuto di una donna che lo scorso ottobre aveva affittato una stanza a Charleroi dove sarebbero state custodite le armi e gli esplosivi usati a Parigi. Alla perquisizione hanno partecipato anche due poliziotti della brigata criminale di Parigi, che si trovavano sul posto in qualità di semplici osservatori, membri della squadra «mista» formata dopo gli attentati del 13 novembre. Non era routine, ma quasi. Le informazioni raccolte nei giorni precedenti riferivano di un covo «freddo», ovvero disabitato. Errore. Non il primo, in un Paese che secondo l’Icsr, il Centro Internazionale per lo studio della radicalizzazione, ha la maggior percentuale di jihadisti per numero di abitanti ma continua ad avere anche un sistema di intelligence bizantino, con la polizia investigativa divisa in sei diversi corpi ognuno dei quali ha la propria rappresentanza nei diciannove distretti dell’area metropolitana di Bruxelles.
In casa c’era qualcuno. La reazione ha colto di sorpresa le forze dell’ordine belghe. Al numero 27 di rue du Dries c’è un asilo nido, al 17 una scuola materna. In mezzo, dall’altro lato della strada, la palazzina oggetto della perquisizione. E nella via adiacente, rue de la Station, altri due istituti. Quasi cinquecento bambini e adolescenti sono stati chiusi nelle aule per un intero pomeriggio, mentre a poca distanza si sparava da una parte e dall’altra con armi pesanti e una intera città finiva in stato d’assedio, completamente isolata.
«Siamo dappertutto». Così diceva al telefono Abdelhamid Abaoud, la mente della strage di Parigi. Il lavoro investigativo di questi mesi sulle utenze telefoniche ha fatto salire a 20 il numero delle persone che avrebbero preso parte agli attacchi. Ne mancano all’appello sette, perfetti sconosciuti. Ma anche ieri le autorità si sono affrettate a smentire che il corpo ritrovato in rue du Dries fosse quello di Salah Abdeslam, il grande latitante, la grande ossessione, il tassello che manca per chiudere un primo cerchio.
Molti inquirenti sono convinti che si trovi ancora in Belgio, dove le perquisizioni hanno ormai ritmo quasi giornaliero. Quella di ieri, un’operazione che il primo ministro Charles Michel ha definito ancora in corso, non sembra aver portato grandi risultati. Solo tanta paura, e la conferma che non è ancora finita, quasi un appunto a futura memoria, come se ce ne fosse bisogno. A tarda sera il signor de Vos, assicuratore di Bruxelles, lascia finalmente la palestra tenendo per mano la figlia Anne, dieci anni. La bambina mostra il disegno che ha fatto durante la lunga attesa. Sul foglio, disegnati a pastello, ci sono una casa, un sole, un prato, e degli uomini che sparano.