il Fatto Quotidiano, 15 marzo 2016
Ci siamo dimenticati di al Qaeda
La Libia rappresenta molte cose, quasi tutte vergognose e inconfessabili persino sul piano del realismo politico che ha già un sostanzioso palmares di iniquità.
È stata la prima patria del terrorismo internazionale e la prima base di lancio dei missili e della bomba umanitaria contro l’Europa. Gheddafi, dopo aver facilitato il lucroso commercio di migranti da parte dei clan alleati, riuscì a farlo diventare un “affare” di Stato di rango internazionale grazie al trattato di amicizia e cooperazione con l’Italia. La Libia rappresenta anche lo sfascio di uno Stato con l’esperimento di un intervento militare al buio, senza piani e senza cura del “dopo”.
Un intervento che ha riproposto i modelli colonialisti di cui furono maestri Gran Bretagna, Francia e Italia e fecondi discepoli gli Stati Uniti grazie ai quali l’operazione ricevette l’avallo delle Nazioni Unite e la copertura strategica della Nato.
Sapevamo tutti che la Libia sarebbe diventato un territorio di possibile rilancio del jihadismo islamico e sappiamo per certo che la preparazione di una nuova operazione militare da parte di coloro che l’hanno portata al caos fornisce gli strumenti e la motivazione per altro jihadismo e altro terrorismo.
La lotta politica affidata al terrorismo islamista, come oggi avviene in Costa d’Avorio, Sudan, Mali, Somalia, Nigeria, Tunisia e al suo speculare terrorismo di Stato, come fu in Libia, ha quasi nulla del franchising dell’Isis e molto del marchio qaedista coniato a Mumbai.
E non si tratta soltanto di rivendicazioni formali, ma di profili operativi. Il terrorismo dell’Isis è diventato un macabro folklore in confronto a quello altrettanto estremo, ma scientifico e razionale di al Qaeda. La ragione principale sta nel fatto che mentre l’Isis è l’aborto di una creatura occidentale, qualcosa “sfuggito di mano” come ebbe a dire Hillary Clinton, al Qaeda è la vera anima del progetto politico contro gli americani, gli occidentali, i colonialisti e quindi anche contro le autarchie islamiche.
Pochi esaltati credono veramente nel califfato, ma a molti fa comodo la paura che suscita. Pochi islamici approvano l’Isis, ma molti credono nell’ideologia qaedista. Pochi occidentali si sono resi conto della cesura profonda tra Isis e al Qaeda e molti si sono cullati sugli allori di una al Qaeda sconfitta.
E se non fosse stato per lo sciagurato progetto dell’Isis, per l’avventura libica del 2011 e per la frettolosa superficialità nella questione siriana sarebbe stata sconfitta per sempre. In occidente, ci siamo distratti con l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria, le rivoluzioni colorate, le primavere arabe e l’Isis e ora ci troviamo di fronte al nocciolo duro di 15 anni fa. Con la stessa rabbia, la stessa frustrazione, la stessa impreparazione e la stessa voglia di “distrazioni”.