Libero, 15 marzo 2016
Mps, Renzi indossa i panni del banchiere d’affari
Matteo Renzi ha indossato i panni del banchiere d’affari. E la Borsa ha risposto con un robusto balzo, oltre il 10%, del titolo Monte Paschi, provocato da un articolo di Repubblica, basato su «fonti di Palazzo Chigi» in cui si dava notizia delle pressioni del premier per trovare una soluzione ai problemi del Monte, la vera spina del sistema bancario italiano che rischia di vanificare la ripresa del credito di casa nostra.
Esclusa la speranza di poter coinvolgere investitori internazionali, per mettere in sicurezza la banca senese (impresa per cui, secondo Francesco Giavazzi, servono più o meno dieci miliardi) ha bussato alla porta dei pochi patrimoni italiani che possono permettersi un’impresa del genere. Prima fra tutti, la Cassa Depositi e Prestiti, il jolly tuttofare. Accanto alla Cdp, secondo i disegni del presidente del Consiglio dovrebbe mobilitarsi Banca Intesa, l’unico istituto di casa nostra in grado di impegnarsi in un investimento miliardario. A completare la squadra, infine, le Fondazioni di origine bancaria a loro volta socie di Cdp. L’invito di Renzi non ha riscosso grande entusiasmo: Carlo Messina, ad di Intesa, da mesi continua a ripetere che la banca non intende fare alcuna acquisizione, tanto meno in Italia. Ma lo stesso Messina a Davos aveva assicurato che «non ci sono pressioni del governo su Mps». Infine, le Fondazioni. Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, resta scettico. Il presidente si è limitato a dire che «è da vedere se la Cdp può mettere soldi in una banca e a quali condizioni».
La strada, insomma, è in salita. Ma Piazza Affari, a giudicare dal boom del titolo, ci crede. Per più motivi. L’allargamento degli acquisti da parte della Bce ha dato senz’altro una mano: sistemare le partite a rischio annidate nei conti sarà più facile così come il denaro a buon mercato può essere il toccasana per la banca, che negli ultimi mesi ha subito l’erosione dei depositi. Ma, soprattutto, i mercati danno per scontato che il premier farà tutto il possibile (e forse di più) per non far affondare la navicella del Monte, vittima di un lungo naufragio targato Pd. Ad alimentare questa versione contribuiscono gli sviluppi della commissione d’inchiesta sull’istituto promossa dalla regione Toscana. Il caso ha voluto che le ultime notizie sul possibile intervento a favore della banca coincidessero con le testimonianze di Pieluigi Piccini, già sindaco di Siena dal 1990 al 2001, “silurato” da Vincenzo Visco, allora ministro delle Finanze, alla vigilia dell’investitura in Fondazione, e dal suo successore, Maurizio Cenni, in carica dal 2001 al 2011. «La politica, non soltanto locale – ha testimoniato Piccini – ha deciso le sorti della Fondazione e della Banca in riunioni che avvenivano fuori dalle istituzioni. Io stesso sono stato oggetto continuo di pressioni da parte del partito cui appartenevo, perché facessi certe operazioni e non altre». Non meno deciso Cenni, in carica nei giorni dello sciagurato acquisto di Banca Antonveneta.
«Nel 2004 – ha detto – partì una campagna politica e istituzionale contro il Monte, accusato di essere troppo isolato». Ora toccherà a Davide Serra, il finanziere vicino a Renzi, spiegare alla commissione il senso di alcune sue dichiarazioni sull’influenza del Pd nelle vicende del Monte. Chissà. Forse la vera preoccupazione di Renzi è il salvataggio del Pd.