Corriere della Sera, 15 marzo 2016
Quel giorno del 1996 quando Rigamonti batté Buffon
Quella di Matteo Rigamonti, 38 anni, bresciano di Flero, stesso paese di Andrea Pirlo di cui fu compagno nella Primavera delle Rondinelle, è una delle mille storie dolci e amare del Torneo di Viareggio, che ieri con Inter-Akademija Pandev 4-0 ha inaugurato l’edizione numero 68, un’edizione con parecchie interessanti novità – due giorni in più di gare, sette sostituzioni consentite e tempi da 40’ – che però non mutano lo spirito della più nota competizione giovanile al mondo. Perché il calcio è così: per una porta che si apre, una resta chiusa.
Quella di Riga, vent’anni fa, quando batté Buffon, sembrava spalancata su un futuro radioso. «Gigi era già un fuoriclasse, si vedeva lontano un chilometro che avrebbe fatto carriera, ma quella volta vinsi io: partita e due trofei, quello di squadra e quello come miglior portiere della finale. Poi però le cose sono andate diversamente, il calcio per me è rimasto un passatempo. Si vede che era destino. Un po’ per colpa mia, un po’ per i procuratori sbagliati. Pensavo di poter arrivare in alto da solo, con le mie forze, solo perché ero bravo. Macché».
Era il 19 febbraio 1996, e la finalissima fra Brescia e Parma se la aggiudicarono i biancazzurri, 3-1, con Baronio – attuale commissario tecnico della nazionale Under 18 – che segnò il terzo gol con un pallonetto da quaranta metri proprio all’attuale numero 1 della Juventus (mentre Pirlo, immusonito, giocò solo 12 minuti, a dimostrazione del fatto che nel calcio giovanile è meglio stare alla larga da sentenze troppo definitive).
«A fine partita lui era ovviamente abbattuto per la sconfitta, ci scambiammo la maglia – sorride Rigamonti, oggi disoccupato dopo aver lavorato qualche tempo come rappresentante di caffè —. Chissà, magari la metto all’asta su Internet e ci faccio un gruzzoletto, che di questi tempi mi farebbe comodo, avendo anche due figlie piccole. No, in realtà non ci penso neanche, almeno i ricordi non me li faccio portare via. Certo, a volte mi capita di chiedermi se da qualche parte lui la mia la conserva ancora, magari in fondo a qualche armadio, se la usa almeno per tagliare il prato».
Matteo invece non usa più nemmeno i guanti, manco per giocare con gli amici. Dopo qualche anno in giro fra Viterbese, Crema e Castiglione delle Stiviere, ora fa il centravanti in una squadretta di amatori, sempre a Flero. «Ci troviamo una volta massimo due a settimana, l’accordo è che se non mi danno il dieci resto a casa». La porta niente, quella basta. «Mi fa uno strano effetto stare fra i pali, come una strana amarezza. No, mai più».