Corriere della Sera, 15 marzo 2016
Lo strano caso dei due italiani uccisi per errore in Africa
Li avevano chiamati per un’operazione anti bracconaggio nel parco nazionale di Mana Pools, 2.500 chilometri quadrati di savana abitata da leoni, elefanti, bufali, coccodrilli e ippopotami. Zimbabwe occidentale, terra incontaminata. Domenica scorsa Claudio e Massimiliano Chiarelli, 65 e 28 anni, padre e figlio, erano di supporto alle autorità locali per scovare i cacciatori di frodo fra i laghi del Mana Pools. Sono stati entrambi uccisi a colpi di fucile. Si fa un’ipotesi: un ranger li avrebbe scambiati per dei bracconieri e ha sparato. Un tragico, fatale errore. Con Claudio e Massimiliano, al parco di Mana Pools c’era infatti un amico italiano, Francesco Marconati, come loro cacciatore, che ha raccontato così la tragedia a un amico: «Stavamo aspettando il cambio dei ranger nella ronda anti bracconaggio. Quando sono arrivati hanno pensato che fossimo bracconieri, forse per la camicia azzurra. Uno di loro ha premuto il grilletto colpendo alla testa Claudio e poi il figlio. Io mi sono riparato. Un proiettile mi è passato a trenta centimetri dalla testa... Max aveva solo 28 anni, non è giusto». All’ambasciata italiana di Harare, la capitale del Paese africano guidato dal regime autoritario di Robert Mugabe, sono ancora prudenti: «Sì, forse è stato un incidente ma le indagini sono in corso e niente viene ancora escluso».
Conferme vengono invece da Emmanuel Fundira, capo della Safari Operators associations, interpellato dalla France Press : «A sparare è stato un ranger comparso all’improvviso. Siamo consapevoli che si tratta di uno scambio di persona». Una versione dei fatti che non convince un amico della famiglia, Carlo Bragagnolo, regista e fotoreporter veneziano. «Errore? Mi vien da ridere. Nello Zimbabwe Claudio era scomodo soprattutto agli avventurieri della caccia e in quel Paese con il denaro si fa tutto». Con lui Bragagnolo ha condiviso un periodo in Africa. «Claudio era sì un cacciatore professionista ma era in perfetta simbiosi con la natura, con gli animali, con gli uomini». Per gli animalisti, fumo negli occhi: «La loro morte non sorprende, chi semina vento raccoglie tempesta», ha commentato con durezza Walter Caporale degli Animalisti italiani.
Nato in Libia, a Tripoli, cacciatore esperto e guida safari professionista, Claudio Chiarelli lavorava nel Paese africano da 34 anni dopo aver vissuto a lungo in Italia, fra il Veneto e la Toscana. Lì, ad Harare, viveva con sua moglie e lì sono nati i suoi figli, Massimiliano e Virginia. Ad Harare parlano di una persona di grande correttezza. La sua casa, fin da domenica sera è stata meta di un continuo pellegrinaggio di amici e conoscenti.
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Ci sono le foto con le zanne di elefante, con il bufalo morto, con i trofei di caccia. «Ma attenzione – avverte Gianni Castaldello, ristoratore padovano, amico di Claudio e fra i riferimenti veneti del Safari club international – Claudio cacciava solo ed esclusivamente capi destinati all’abbattimento». Castaldello dice di stimare la sua correttezza e il rispetto per la natura e vuole difenderne la memoria da chi storce il naso davanti a quelle immagini.
Claudio e Massimiliano, cacciatori, guide, avventurieri. Avevano scelto lo Zimbabwe perché amavano la savana e gli animali, facendo di quella terra il loro lavoro. Una vita scandita dalle escursioni nei parchi naturali e dal rapporto non facile con le autorità locali, dovendo fare i conti con la politica anticolonialista del presidente dittatore Mugabe che ha sempre guardato con sospetto gli occidentali arrivati nello Zimbabwe negli Anni 80. E Claudio era uno di questi. «Mi hanno portato via la terra ma io non mollo», ripeteva come un refrain dopo che il governo gli requisì una tenuta acquistata con altri soci per farci un parco naturale. Fu la battaglia della sua vita. «Stava cercando ancora oggi di riavere quel terreno e almeno una compensazione in denaro, forse era arrivato a una concessione», ricorda Roberto Franceschini, funzionario dell’ambasciata italiana ad Harare, la capitale.
Non che questa contesa sia da mettere in relazione alla morte violenta dei Chiarelli. Ma serve a capire il problematico rapporto con le istituzioni e in particolare quelle dei parchi, dove padre e figlio sono stati uccisi. «Ha sparato un ranger», dicono più fonti e sussurrano: «Per errore, li hanno scambiati per bracconieri». Possibile un errore del genere? «Sì, è possibile – spiega Castaldello —. Lui me l’aveva detto che collaborava con i ranger e aveva una licenza governativa. E mi aveva detto anche che faceva l’attività di antibracconaggio in un’area che gestiva contro i cacciatori di avorio. Quelli sono i più pericolosi. Perché uccidono gli animali solo per le zanne e per i corni di rinoceronte, che poi rivendono per procurarsi armi. Inoltre quelle sono zone di bush, cespugliose. È possibile che non li abbiano visti bene e hanno sparato».
C’è la caccia illegale e c’è quella legale, «che serve a contenere la popolazione animale in alcune aree di sovraffollamento secondo quote date dal governo». Claudio e Massimiliano erano guide e cacciatori in queste aree. Un’attività lucrosa. «Una settimana di caccia al leone può costare anche più di 10 mila euro». Ma non tutti possono accompagnare gli appassionati nella savana. «Sono tre anni di corso ferreo, non è che ti regalano la licenza», precisano dall’ambasciata.
Lavoro ricco e rischioso. Nel maggio del 2006, nella valle dello Zambesi, il safari si trasformò in tragedia. Claudio guidava la battuta di caccia ma non riuscì a fermare un’elefantessa inferocita che finì per travolgere e uccidere l’industriale Gianpaolo Tarabini Castellani. In precedenza rischiò di essere ammazzato dagli squatter entrati nella sua terra, quando fu espropriato. «Erano duecento uomini armati di pugnali, lance e machete. Hanno distrutto tutto, la mia casa i miei lodge – disse al Corriere della Sera nel 2002 —. Hanno ucciso migliaia di animali, tra cui due rinoceronti e un elefante. Hanno divelto recinzioni e appiccato incendi. I quindici uomini che lavoravano per me sono stati picchiati selvaggiamente. Mi dissero: ora ti stacchiamo il cuore e ce lo mangiamo. Pensai che fosse giunto il mio momento e invece poi se ne andarono».
Il momento per Claudio è arrivato domenica scorsa ed è arrivato anche per suo figlio Max che ultimamente gestiva un’attività di ristorazione nella capitale. Non li ha uccisi un leone o un elefante inferocito e neppure uno squatter con il machete. Ma, pare, l’errore di un ranger.