Corriere della Sera, 15 marzo 2016
Contro la letteratura carina
È molto suggestiva la definizione che Silvano Petrosino, professore di Teoria della Comunicazione all’Università Cattolica di Milano, attribuisce a molti libri che escono con successo. In un saggio apparso sull’ultimo numero della rivista Vita e pensiero, Petrosino parla di «letteratura carina» alludendo a quel tipo di opera che si propone di curare lo spirito senza misurarsi con il corpo (della scrittura, del particolare, dei personaggi). In realtà, si tratta di una tendenza che esorbita dalla sfera letteraria, configurandosi come vera e propria aria del tempo, se è vero che anche gli chef si azzardano a dichiarare che «la grande cucina non nutre mai il corpo ma sempre l’anima». Per non dire della tanta «musica carina» che sentiamo in giro, né alta né bassa, né colta né popolare, ma appunto «carina».
Il gusto del «carino» lo si ritrova però, secondo Petrosino, soprattutto in letteratura, o meglio nella cosiddetta «scrittura creativa» in cui si esercitano non solo magistrati e attori con l’intenzione, anzi la pretesa, di «nutrire o curare l’anima». Opportunamente, Petrosino cita Nabokov, che se la prendeva con gli pseudo-idealisti, con gli pseudo-compassionevoli, con gli pseudo-saggi, insomma con i filistei che amano impressionare con le grandi parole: Bellezza, Verità, Amore, Natura... E, indubbiamente, impressionano. In effetti la letteratura migliore affronta la realtà «tramite ciò che si può vedere, sentire, odorare, gustare e toccare». Sono parole della scrittrice statunitense Flannery O’Connor. Quando si scrive è meglio dimenticare il cosiddetto «messaggio» capace di consolare o di migliorare l’umanità. Thomas Bernhard odiava gli aforismi, che considerava arte deteriore dei «filosofi da almanacco» che hanno il fiato corto e che «scrivono per i comodini da notte delle infermiere» (e degli infermieri?). Ci sono gli scrittori da conforto e ci sono i lettori che non chiedono altro che libri «ben confezionati» capaci di confortarli. Roland Barthes, con capacità visionaria, già nel 1980 accennava al trionfo dell’«I like/I don’t». Il carino. Il solo caso di carineria letteraria evocato da Petrosino è un romanzo della tedesca Nina George, Una piccola libreria di Parigi. Ed è un peccato, perché il suo saggio avrebbe meritato un’esemplificazione più vicina a noi. Così, rischia di passare solo per un saggio carino.