Il Sole 24 Ore, 15 marzo 2016
Wall Street ha festeggiato sette anni di rialzi ininterrotti. E forse non è un bene
Sette e non più sette. Sarà forse sfuggito a chi compulsa quotidianamente i mercati in queste fasi di oscillazione pronunciata, ma le Borse, Wall Street in testa, hanno festaggiato la scorsa settimana uno dei rialzi più lunghi e intensi degli ultimi decenni. Sette anni di rialzo ininterrotto, sette anni di vacche grasse per gli investori in azioni. Non c’è bisogno di scomodare citazioni bibliche per argomentare sullo stato di salute delle piazze azionarie che al di là della brusca battuta d’arresto di inizio anno sembrano non trovare ostacoli alla loro esuberanza. Dal 9 marzo del 2009, superato il panico globale del crac Lehman, l’indice S&P500 ha prodotto una performance del 195% di fatto triplicando le sue quotazioni. Il Nasdaq ha fatto ancora meglio con un balzo stellare del 268%. E il rally non è stato confinato solo negli Usa. L’indice coreano è salito del 132%; il Dax tedesco ha chiuso i sette anni di vacche grasse con un +130% e anche il Giappone cronicamente in stagnazione ha visto il Nikkei225 volare del 105%. Non sfugge a chi pratica i mercati la ragione profonda di questo vistoso rialzo delle Borse mondiali. La discesa in campo massiccia delle banche centrali di tutto il globo ad arginare il trauma dello choc Lehman e della recessione che ne è seguita hanno dirottato fiumi di liquidità sugli asset più a rischio. I tassi a zero e i rendimenti sempre più bassi delle obbligazioni hanno spinto gli investitori a salire sul carro dei listini azionari consapevoli che la rete di protezione delle politiche ultra-espansive avrebbe fatto da propulsore formidabile per le Borse. Non che i fondamentali economici non abbiano aiutato. Gli Usa sono tornati a crescere anche se a un passo di marcia lontano dai fasti dei decenni scorsi. Il Pil Usa è salito del 10% nel periodo, l’S&P500 ha triplicato il suo valore. La distanza tra economia reale e sistema finanziario si divarica sempre più: la finanza nel suo complesso vale 10 volte il Pil mondiale. Ora però arriva la prova del nove per i mercati azionari. Vero che la Bce e la Banca del Giappone continueranno a iniettare come non mai denaro nel circuito finanziario, ma vero è che se l’economia Usa ha sempre meno bisogno di stampelle monetarie qualche normalizzazione sui tassi prima o poi arriverà. E pesano oggi come non mai le difficoltà di Cina ed emergenti oltre al greggio così basso a rallentare il passo dell’economia globale. Lo scivolone di gennaio non è stato un fulmine a ciel sereno: dice che gli investitori si sono fatti più guardinghi e scrutano con più attenzione quel decalage degli utili di Wall Street, visti in calo del 7% nel primo trimestre del 2016. Il mondo non sta implodendo, ma forse quella corsa così martellante delle Borse è giunta al capolinea. Del resto i cicli borsistici non sono mai morti del tutto.