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 2016  marzo 15 Martedì calendario

I nuovi Casalesi assomigliano a un cartello della droga colombiano

Sono tornati. Dopo un decennio di retate e pentimenti, i Casalesi sono rinati. Un brutto colpo. L’altra mattina a Casapesenna, Caserta, nell’abitazione di un militante di «Libera», l’associazione antimafia di don Ciotti che sabato aveva promosso un’iniziativa pubblica contro la camorra, è stato recapitato un pacco con una pistola, un caricatore, una testa e le interiora di agnello. «Un messaggio preoccupante di chi vuole riaffermare il proprio dominio sul territorio». Il procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli, non nasconde il suo timore: «Da tempo abbiamo avvertito che i Casalesi si stavano riorganizzando, dopo la stagione degli arresti, dei processi e delle condanne».
I sopravvissuti agli ergastoli sono di nuovo tornati liberi. E gli eredi dei boss sembrano aver portato a termine la mutazione dell’organizzazione. Ricordate Gomorra? In attesa che Sky mandi in onda la seconda serie, sarebbe forse il caso di rivedere quelle puntate. Quante polemiche sollevò. I critici contestavano quella rappresentazione non riconoscendo i Casalesi in quella narrazione: «Non è Gomorra, è il “sistema”». Cioè è Napoli, con le piazze di spaccio, la cocaina, i traffici e la violenza per la conquista di nuovi spazi.
Oggi, a sentire il procuratore Borrelli, i nuovi Casalesi ricordano proprio i protagonisti della fortunata serie televisiva. Gli eredi dei Bidognetti e degli Schiavone sono a presidiare il territorio con lo spaccio della droga. Centinaia di ragazzi hanno lasciato i kalashnikov e l’esplosivo e oggi distribuiscono tanta polvere bianca da soffocare la provincia casertana.
È solo l’inizio. Lo Stato, negli ultimi sette anni, aveva fatto terra bruciata attorno ai Casalesi: 2326 arresti per mafia, 9 comuni e l’ospedale di Caserta sciolti per mafia, 3 sindaci arrestati per collusioni con la camorra. Non che non ci fossero più i sopravvissuti alla caduta di quel muro fatto di complicità e contiguità. Centinaia di richieste di arresti sono ancora oggi inevase. Ma è come se fossero già passate all’incasso. Storia di un passato che non c’è più, appunto.
Le intuizioni che stanno per diventare realtà nei fatti sono già state bruciate dall’opinione pubblica. Nicola Cosentino, l’ex viceministro dell’Economia, sono quasi tre anni che è recluso in carcere per i suoi rapporti con Gomorra. E l’inchiesta che lo riguarda ha svelato l’esistenza di una ragnatela di potere soffocante: i comuni, con sindaci, politici e la macchina burocratica. Le imprese, le forze dell’ordine, gli avvocati. Un esercito di servitori infedeli dello Stato al loro servizio.
La realtà sembrava superare persino il libro di Roberto Saviano, che quando è finito negli scaffali delle librerie non conosceva ancora i racconti di pentiti di rango come Antonio Iovine o Attilio Pellegrino. Oggi che tutto è droga, da Gomorra a Secondigliano, il timore degli inquirenti è che il «sistema», sfrondato dalla ritualità e dalla cultura della vecchia camorra cutoliana, diventi «un cartello della droga modello colombiano». Con il rischio che prima o dopo il «mercato» produrrà tensioni e conflitti, con ripercussioni che si possono immaginare.
Antonio Bardellino, Francesco Schiavone detto Sandokan, Antonio Iovine, Michele Zagaria, Cicciotto ‘e mezzanotte, alias Francesco Bidognetti, rischiano di finire nell’Olimpo di Gomorra. Anche loro consegnati alla storia (criminale) e superati dai nuovi bookmakers nelle Borse mondiali della droga. Che accumulano ricchezze enormi e creano consenso sociale.
Si arricchiscono i nuovi guerrieri della droga. Si impongono nel mercato, occupano comuni e territori. «Per combattere questa nuova criminalità – spiega il procuratore aggiunto Borrelli – la procura antimafia ha impresso da tempo un colpo d’accelerazione alle indagini. Ma il tempo gioca a favore dei nuovi cartelli. Se ne devono rendere conto tutti: la Procura, la polizia giudiziaria, l’ufficio del gip».