la Repubblica, 15 marzo 2016
Il bracconaggio è il terzo commercio più redditizio al mondo e fattura 20 miliardi di dollari l’anno
Non è uno sport e nemmeno un passatempo. Il bracconaggio oggi è una vera piaga. Un business che fattura 20 miliardi di dollari l’anno. Lo confermano tutti: dalle associazioni ambientaliste a quelle che lottano per la difesa della specie. Viene considerato il terzo commercio più redditizio al mondo, preceduto solo dal traffico di armi e della droga. Per colpa di antiche credenze e molte superstizioni. Pensiamo al valore che hanno le zanne degli elefanti, con il loro avorio pagato a peso d’oro; ai corni dei rinoceronti, ricercatissimi in Cina, Vietnam, Cambogia per i loro poteri afrodisiaci. Solo Pechino, secondo la Wildlife Conservation society, rappresenta il 70 per cento della domanda mondiale. Una domanda che contribuisce all’uccisione, mediamente, di 96 elefanti al giorno. La Repubblica Centrale Africana, in dieci anni, tra il 2002 e il 2012, registrò la più grave perdita di questi pachidermi: scomparve il 60 per cento di quelli presenti nelle foreste del paese. Ancora più grave è stata la caccia spietata al corno del rinoceronte nero occidentale: la specie si è estinta nel 2011. Tuttora sono minacciate le altre cinque rimanenti.
Per documentare i danni irreversibili sulla fauna selvatica, il fotografo britannico James Morgan seguì per settimane il lavoro di una pattuglia antibracconaggio del parco nazionale di Minkébé, nel Gabon. Tra il 2005 e il 2013 riuscì a documentare che erano stati uccisi 11 mila elefanti: due terzi della popolazione del parco.
Non si tratta solo di un crimine per l’ecosistema e una minaccia per gli equilibri delle specie animali. La caccia di frodo ha finito per stravolgere la vita stessa di gruppi etnici locali. Spinti dalla domanda di avorio dei vecchi colonialisti, spesso espropriati delle terre in cui vivevano, i Baka del Gabon, per esempio, si sono presto trasformati in bracconieri. Il bracconaggio ha finito per estendersi e a saldarsi con interessi più vasti. Anche i gruppi jihadisti, soprattutto nell’Africa orientale, ne traggono vantaggi: taglieggiano i cacciatori di frodo con guadagni che sfiorano anche il miliardo di dollari l’anno.
Claudio e Massimiliano Chiarelli, le due guide italiane rimaste uccise durante una battuta contro i bracconieri in Zimbabwe, erano esperti, legatissimi al paese in cui vivevano da anni e sapevano muoversi in un ambiente difficile e ostile. Non erano i soli a svolgerlo, soprattutto tra Tanzania e Sudafrica, dove sorgono i parchi e le riserve più belle e ricche di animali al mondo e la caccia è un’attività economica importantissima. Ma anche qui iniziano i primi dubbi: nei giorni scorsi il Sudafrica ha chiuso per la prima volta da anni la caccia ai BIG5, i cinque animali più famosi (elefante, leopardo, leone, rinoceronte e bufalo) proibendo di sparare ai leopardi fino a quando i numeri degli esemplari di questa specie non saranno determinati con precisione.
La battaglia contro i bracconieri è attraversata da personaggi leggendari. Come Kinessa Johnson, 29 anni, un’americana della Louisiana che dopo essere stata ferita a Kandahar mentre era una marine dell’esercito Usa, viene reclutata dall’associazione Vet Paw e armata del suo fucile si sposta dalla Tanzania allo Zimbabwe, al Botswana. Così Davide Bomben, l’italiano di 38 anni diventato istruttore capo della Poaching Prevention Academy, l’organizzazione che in Namibia e in altri paesi africani addestra le truppe contro i cacciatori di frodo. Uomini e donne che fanno quello che facevano i due italiani uccisi. Se fossero intervenuti anche nel Parco nazionale di Hwange, in Zimbabwe, forse Cecil, il leone più famoso della foresta, ucciso la scorsa estate, sarebbe ancora vivo. Ma 46mila dollari sono bastati ad accontentare i capricci di un ricco dentista americano.