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 2016  marzo 15 Martedì calendario

In morte di Riccardo Garrone

Stefano Landi  per il Corriere della Sera
Difficile dare un volto ai suoi 50 anni di carriera, vissuti al ritmo di un film all’anno. Perché Riccardo Garrone ha avuto tante facce. Dal grandissimo schermo di Fellini, Monicelli, Risi, Scola e Loy, allo spot tv simbolo del caffè nell’alto dei cieli. Garrone è morto ieri in un ospedale di Milano a 89 anni. 
Romano (di rigida fede calcistica laziale), dopo l’Accademia drammatica «Silvio D’Amico», a Roma, esordì con Mario Mattoli in Adamo ed Eva. Fu il regista marchigiano il primo a scommettere sulle sue qualità, scegliendolo poi per diversi ruoli, il primo dei quali sarà l’ufficiale delle guardie in Due notti con Cleopatra, del 1953. Garrone ha attraversato i set dei grandi registi italiani nel segno dell’ironia. Per questo fu soprattutto un attore comico: il don Fulgenzio in Venezia, la luna e tu, il fusto di Belle ma povere, il poliziotto in Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo. Federico Fellini invece lo vestì di ruoli più amari, come il proprietario della villa della Dolce vita. 
Nel 1950 aveva iniziato a lavorare anche in teatro, prima con la compagnia Gassman-Torrieri-Zareschi, poi anche con la Morelli-Stoppa, diretta da Luchino Visconti. Correvano gli anni Cinquanta, poi i Sessanta e i Settanta, e Garrone dietro ai suoi baffetti da gentiluomo, lavora per il grande schermo, comparendo non solo in pellicole d’autore, ma anche in numerosi bmovie, comici, horror, spaghetti western, commedie scollacciate e serie tv: su tutte la prima edizione di «Un medico in famiglia», nel 1998. Tornerà protagonista della serie, sempre nei panni di Nicola Solari, nel 2004, in due episodi.
Nel 1990 interpretando la commedia musicale Aggiungi un posto a tavola fece le prove generali celesti nella parte di Dio, guadagnandosi poi il ruolo che Lavazza gli affidò per 20 anni. Nel ruolo di San Pietro, negli spot Garrone diventa il barista ufficiale dell’Aldilà, prendendo il caffè con Solenghi, Bonolis e Brignano.
Nel 1983 arriva uno dei suoi ruoli più noti alle giovani generazioni: l’indimenticato geometra Calboni nel film Fantozzi subisce ancora (il quarto della saga, prendendo il posto di Giuseppe Anatrelli): il collega arrivista e spocchioso nella Megaditta, marito della signora Silvani. La scena cult, testamento di una carriera multiforme, resta però la battuta con cui nei panni dell’avvocato Covelli, con una clamorosa dote di sintesi, liquida in un discorso a braccio di pochi secondi, il brindisi di famiglia di Vacanze di natale del 1983. 

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Silvia Fumarola per la Repubblica
Cinquant’anni di carriera da Federico Fellini a Dino Risi, Ettore Scola, Luigi Zampa, Damiano Damiani, Nanni Loy. Ma le nuove generazioni lo ricordano soprattutto nel ruolo di San Pietro negli spot in Paradiso di una marca di caffè, nella serie Un Medico in famiglia e in altre fiction di successo.
Ironico gentiluomo del cinema, attore e doppiatore, Riccardo Garrone è morto a Milano a 89 anni. Nato il primo novembre del 1926, frequentò l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Tra i ruoli comici, don Fulgenzio in Venezia, la luna e tu, il fusto in Belle ma povere il poliziotto in Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo.
Era credibile anche nei ruoli drammatici, in film d’autore come Il bidone e La dolce vita di Fellini, La romana di Zampa e La ragazza con la valigia di Zurlini. Al cinema esordì con Mario Mattoli ( Adamo ed Eva), che lo sceglierà per altri ruoli, sarà anche l’ufficiale delle guardie in Due notti con Cleopatra. Lavora anche in teatro, prima con la compagnia Gassman-Torrieri-Zareschi, poi con la compagnia Morelli-Stoppa diretta da Luchino Visconti; ma per tutti gli anni 50,60 e 70 Garrone è uno dei volti più popolari del cinema. I Vanzina lo scelgono per i loro film vacanzieri (con la battuta diventata cult: «E anche questo Natale ce lo siamo levato dalle palle»); nobile e borghese, simpatica canaglia, un grande caratterista che sapeva imporsi. Fino agli spot tra le nuvole. 

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Fabio Ferzetti per il Messaggero
Ci sono attori che passano alla storia. E altri che entrano direttamente nella memoria collettiva, anche se nessuno li celebra e pochi magari ne ricordano il nome a prima vista. Riccardo Garrone apparteneva al secondo gruppo, e adesso che se n’è andato, a 89 anni (era nato a Roma il 1° novembre del 1926), ci rendiamo conto che era sulla breccia da quasi settant’anni. In ruoli per lo più di secondo piano, ma sempre facendosi notare per l’eleganza felpata, l’ironia corretta da una punta impercettibile di amarezza, la cordialità venata di sottintesi che ne facevano uno dei nostri grandi caratteristi. Specializzato in quei ruoli da arcitaliano un po’ infido che avevano per capofila Franco Fabrizi, e che costituiscono da sempre l’ossatura del nostro cinema d’intrattenimento.
Dalle commedie di Mattoli, che lo fece esordire nel 1949 accanto a Macario in Adamo ed Eva, a quelle dei fratelli Vanzina (Vacanze di Natale, Amarsi un po’, I miei primi 40 anni); dalle partecipazioni a titoli leggendari come La dolce vita, agli innumerevoli personaggi interpretati in tantissimi film di puro consumo, passando per la televisione, il doppiaggio, naturalmente il teatro e negli ultimi anni la pubblicità (tutti lo ricordano come un San Pietro dalle lunghe chiome nello spot di un caffè), Riccardo Garrone aveva fatto davvero di tutto. Con la sicurezza dell’attore di formazione classica (usciva dall’Accademia d’Arte Drammatica) e il disincanto di chi sa che forse non sarà mai un protagonista, ma ha trovato il passo e la misura per lasciare il segno anche in ruoli da comprimario.
Tra i registi con cui lavora più spesso, oltre a Mattoli (che lo vorrà di nuovo come ufficiale delle guardie in Due notti con Cleopatra, con Sordi e la Loren, e in Signori si nasce, con Totò e Peppino), troviamo grandi nomi come Mario Monicelli (con Il medico e lo stregone, Padri e figli, e più tardi lo sfortunato Toh, è morta la nonna), Dino Risi (Belle ma povere, Venezia, la luna e tu, I complessi), Luigi Zampa (La romana, Il vigile e Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata, uno dei film che più amava ricordare).
Anche Fellini lo chiama due volte. Prima per Il bidone, poi per una delle scene rimaste più celebri della Dolce vita, quella dello spogliarello (Garrone è il padrone di casa). E con Fellini possiamo citare Scola (Se permettete parliamo di donne e anni dopo La cena), o Valerio Zurlini (La ragazza con la valigia), Mauro Bolognini (Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo), Pietro Germi (Il ferroviere), Nanni Loy (Audace colpo dei soliti ignoti), Luciano Salce con uno dei suoi film migliori, Basta guardarla, eccetera.
Ma non è questo il vero terreno su cui si giocano il mestiere e la popolarità di Garrone. Che non potendo sempre scegliersi i ruoli e tanto meno i film, finì per puntare tutto sulla disponibilità, pressoché totale. E su un’autoironia che rovesciava in simpatica gaglioffaggine la sua eleganza naturale («E anche ’sto Natale se lo semo levati dalle palle», è forse la sua battuta più celebre, da Vacanze di Natale dei Vanzina).
Ed ecco i tantissimi film (in tutto ne fece più di 150) dei vari filoni che si sono avvicendati nella tumultuosa storia del nostro cinema di consumo, dalle parodie con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (I due sergenti del generale Custer) ai musicarelli (I ragazzi di Bandiera gialla); dai western spaghetti (Una lunga fila di croci, Se vuoi vivere... spara!) ai decameroni (Decameroticus, Decameron proibitissimo - Boccaccio mio statte zitto, La bella Antonia, prima monica poi dimonia) e alle farse erotiche, con le varie Poliziotte e Giovannone Coscialunga. Senza dimenticare il geometra Calboni in Fantozzi subisce ancora e le tante serie e miniserie tv degli ultimi vent’anni, tra cui Un medico in famiglia, Un prete tra noi, E poi c’è Filippo.
Non molti, stranamente, i commenti sui social. Ma almeno il romanissimo Enrico Brignano lo ricorda con vero affetto: «Ironico e serafico, schietto ed elegante, gran professionista rispettoso e rispettato. Amava raccontare storie, Riccardo. E riusciva sempre a spiazzarti, a farti ridere e a rendere presente un tempo andato, restituendo i suoni, i colori e i profumi che furono, grazie alla sua grande capacità affabulatoria».