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 2016  marzo 12 Sabato calendario

Breve storia delle donne al voto

La ricorrenza della concessione del voto alle donne si è intrecciata, in questi giorni, con la festa delle donne, per la prevedibile orgia commemorativa intrisa di retorica, di frasi fatte, di banalità.
Si è detto e scritto di tutto, perfino attribuita all’avvento della repubblica l’espressione del voto femminile, invece attuata nelle amministrative della primavera del 1946, poi nelle politiche e nel referendum istituzionale del 2 e 3 giugno successivi (sarebbe stato curioso se le donne avessero votato al referendum su repubblica e monarchia in forza di una legge approvata già in regime repubblicano).

C’è stato chi ha scritto che il voto fu espresso a guerra non ancora finita. In generale, poi, si è registrata una diffusa omissione storica: silenzio sui precedenti legislativi per il voto femminile.
Lasciamo da parte i reiterati, ma vani, tentativi d’introdurre in qualche misura il voto femminile, attuati in epoca liberale, sia sotto la destra storica (il primo risale addirittura al 1861, quando Marco Minghetti ne trattò nel progetto di legge comunale e provinciale), sia dalla sinistra storica, sia nel periodo giolittiano. Fu il fascismo a far passare (fra lo scarso entusiasmo più dei senatori che non dei deputati: intervenne contro anche il campione della scienza politica, Gaetano Mosca) la prima legge, intitolata «Ammissione delle donne all’elettorato amministrativo». Datata 22 novembre 1925, n. 2125, fu pubblicata in Gazzetta il 9 dicembre successivo. Non si trattava di un elettorato universale, però era esteso a molte categorie, sia per benemerenze patriottiche, sia perché esercenti la patria potestà, sia per censo. Con altri limiti, era ammesso il diritto di elettorato passivo femminile. Rimane quella la prima legge sul voto femminile approvata nell’Italia unita.
Certo, vennero poco dopo le leggi che introducevano il podestà nominato e sopprimevano i consigli elettivi; però il principio legislativo c’era stato. Andrebbe poi aggiunto che negli Stati italiani preunitari vi erano state concessioni di voto amministrativo alle donne, ovviamente parziali e rapportate agli organi amministrativi esistenti: nella Lombardia austriaca (1735!), nel Lombardo-Veneto (1816) e in Toscana (1849). Il suffragio elettorale femminile rimase parzialmente in vigore anche nelle «provincie redente» (1919), ove era normato da leggi asburgiche. Sarà infine opportuno rammentare che la dannunziana Carta del Carnaro (1920) prevedeva: in Fiume i cittadini «senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le cariche».