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 2016  marzo 12 Sabato calendario

La guerra delle valute: sembra proprio che alcune banche vogliano deporre le armi

Sarà una casualità. Oppure è un primo tentativo di coordinamento internazionale delle politiche monetarie. Sta di fatto che alcune banche centrali sembrano voler deporre le armi con cui per mesi hanno affrontato la cosiddetta «guerra delle valute». Quella battaglia combattuta a colpi di svalutazioni competitive (con ogni banca centrale impegnata a rilanciare l’economia del proprio Paese), sembra prendersi una pausa. Che sia un armistizio, una tregua armata o una banale coincidenza saranno però i prossimi mesi a dirlo. 
Oggi, prima di dare risposte e di trarre conclusioni, possiamo solo mettere in fila alcuni eventi. 
Cessate il fuoco 
Giovedì è stato Mario Draghi, con parole ben calibrate, a bloccare il deprezzamento dell’euro e – anzi – a farlo risalire: il presidente Bce ha infatti lasciato intendere che i tassi d’interesse sui depositi bancari difficilmente scenderanno sotto l’attuale -0,40%. La speranza di nuovi tagli dei tassi era proprio quella che in precedenza aveva mosso al ribasso il cambio: stroncandola sul nascere, dunque, Draghi sembra avere detto che la Bce non farà nulla (neppure indirettamente) per tenere bassa la moneta unica. È vero che questo non è mai stato il suo obiettivo ufficiale, ma è anche vero che in passato la svalutazione era stata un effetto collaterale (e positivo) della sua azione. Ora, invece, Draghi sembra porre un freno. Non è un caso che l’euro, dal minimo toccato prima della conferenza stampa di giovedì, abbia guadagnato più del 3% sul dollaro. 
Il 25 febbraio era stata invece la Banca centrale cinese ad annunciare, durante il G20 che si teneva proprio a Shanghai, che avrebbe deposto le armi usate nella guerra delle valute. Il governatore in persona, Zhou Xiaochuan, ha assicurato in quell’occasione che la Cina non svaluterà più lo yuan come fatto in molte occasioni a partire dallo scorso agosto. Sebbene l’istituto cinese non abbia nella credibilità la sua qualità migliore, il messaggio è stato chiaro. Sarà un caso, sicuramente favorito dall’indebolimento generale del dollaro, ma proprio ieri lo yuan è stato “fissato” dalla banca centrale al valore più alto del 2016.
Tregua armata o vera pace? 
Questi due eventi, da soli, possono essere letti in almeno tre modi diametralmente opposti: casualità, guerra finita, oppure tregua armata. Qualcuno arriva ad ipotizzare che al G20 di Shanghai si sia raggiunto un tacito accordo per disinnescare la guerra al ribasso delle valute: del resto è evidente che se tutte le principali banche centrali cercano di svalutare la propria moneta con manovre che producono anche tanti effetti collaterali (i tassi negativi non sono un pasto gratis), e ad ogni azione corrispondono reazioni uguali e contrarie delle altre banche centrali, alla fine il gioco diventa a somma zero. Se tutti la combattono, insomma, la guerra delle valute non può essere vinta da nessuno. Questo lascerebbe pensare, senza però alcun elemento concreto per poterlo affermare, che le banche centrali possano aver cercato un accordo per deporre le armi. Prima di avvalorare questa ipotesi, sottolinea però Roberto Bogoni (Chief Investment officer di Lybra Equity), bisognerebbe almeno vedere se la Bank of Japan (fino ad ora tra i principali combattenti della guerra) settimana prossima muoverà un passo simile.
C’è però anche un’altra possibile scuola di pensiero, che invece lascerebbe propendere per una tregua armata. E solo momentanea. Un indizio lo ha dato la Bri nei giorni scorsi: la fuga di capitali dalla Cina, che nei mesi scorsi è stata la causa delle pressioni al ribasso sullo yuan, sarebbe stata favorita dalle stesse imprese cinesi. Secondo la Bri infatti non si è trattata di una vera fuga di capitali: più semplicemente sono state le imprese cinesi a rimborsare una parte dei loro debiti denominati in dollari causando l’effetto ottico di un deflusso di yuan. Se le aziende cinesi si muovono tutte insieme a rimborsare i debiti in dollari – pensa Antonio Cesarano di Mps Capital Services – è perché evidentemente si aspettano che il dollaro possa rafforzarsi e lo yuan possa indebolirsi. E se lo pensano tutte insieme è perché questa è una scelta governativa. La domanda è dunque legittima: il fatto che le aziende cinesi abbiano fatto la fila per rimborsare i debiti in dollari può essere la premessa per una futura massiccia svalutazione dello yuan? Se così fosse, e se questa ipotesi fosse corretta, allora quella attuale sarebbe solo una tregua momentanea e puramente casuale nella guerra delle valute. Non resta che attendere per capire dove stia davvero la realtà.