Il Messaggero, 12 marzo 2016
Bray fa sapere che non vuole candidarsi per Roma
Ci hanno provato in tanti e per tanto tempo. Sui social i ragazzi del gruppo «Massimo facce innamora’», dal vivo i suoi grandi amici Massimo D’Alema e Giuliano Amato, per non parlare del mondo della sinistra: da Nichi Vendola a Pippo Civati, passando, ma non si potrebbe dire, dalla minoranza Pd. Ma Massimo Bray ha deciso: non si candiderà alla corsa per il Campidoglio. Né primarie né secondarie. Questa mattina – salvo colpi di scena – l’annuncio. Con un post stringato su Facebook per non dare adito a dietrologie e ricostruzioni.
IL NOMassimo ha «la capa tosta», dice chi lo conosce bene, e ha capito che non ci sono le condizioni. «Non voglio essere divisivo», ha sempre ripetuto in queste settimane. Sia quando lo corteggiava il Pd per le primarie sia ora che la sinistra pensa a lui per costruire quel centrosinistra alternativo al renzismo disegnato da D’Alema. Alla fine l’ex ministro della Cultura del governo Letta rimarrà alla Treccani, dove è direttore generale. Negli ultimi giorni ha ascoltato gli appelli notturni dei renziani che lo sconsigliavano a scendere in campo («Rischiamo un’altra Liguria»), ma anche le telefonate di D’Alema che ieri gli ha ripetuto in un ultimo accorato appello: «Sai che per me dovresti candidarti, ma tanto ti conosco: tu scegli con la tua testa». Ieri notte l’ultimo colloquio con un big del Pd. Ma perché questo diniego? È stato il caos che si è creato in queste ore a sinistra a fargli fare un passo indietro. Stefano Fassina che per non uscire dal campo reclama le primarie, Ignazio Marino, l’ex sindaco con il libro avvelenato, pronto al grande ritorno. Chi è caduta nel sacco adesso è Sel che sarà costretta a “caricarsi” il chirurgo dem in una campagna elettorale piena di capitoli velenosi e tutta polarizzata sullo scontro verso i due Matteo, Orfini e Renzi. Ecco perché Bray ha detto se è così, «cari compagni io non ci sto». Eppure uno staff ricercatori universitari, gli stessi che nel giorno delle primarie si sono messi a calcolare «l’affluenza reale» della competizione, si erano già portati avanti con il lavoro. Le ultime rilevazioni «davano Massimo tra il 12 e il 16% e Giachetti al 20». Con l’ex ministro che però non aveva ancora sciolto la riserva. La carta Bray sarebbe stata utile anche in chiave anti-grillina per svuotare il secchio di Virginia Raggi. Ragionamenti che si sono fermati in queste ore, e oggi ci sarà la posizione ufficiale: no, grazie. Questa volta è stata la sinistra fuori dal Pd a farsi del male da sola. Per lasciare Fassina si è messa nelle mani di Marino, «intenzionato a riprendersi una rivincita personale e politica che con Roma ha poco a che fare: tutti sanno che non ha la minima possibilità di successo», ragionano i tanti amici di Bray che in queste ultime ore gli hanno detto «non ci sono le condizioni». E così l’ex ministro invece di inseguire un libro preferisce rimanere a occuparsi di enciclopedie. Punti di vista.