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 2016  marzo 12 Sabato calendario

«Il senso di superiorità di Renzi nei confronti del suo partito (e del resto del mondo) sembra l’effetto di una sbornia e di un cocktail etilico: il Principe di Machiavelli (letto male), una spruzzata del marchese del Grillo (io so’ io, eccetera), più dosi massicce di Francis “Frank” Underwood». Il premier secondo Padellaro

Giovedì sera, nello studio di Piazzapulita, il presidente del Pd, il giovane turco-renziano Matteo Orfini, sembrava piuttosto infelice per essere stato lasciato lì da solo a metterci la faccia e a difendere l’indifendibile. Cioè, le primarie di Roma e di Napoli che tra un video sul voto di scambio e gli elettori in fuga si sono trasformate in un boomerang per i candidati di Matteo Renzi. Il quale Renzi, come sempre gli capita quando si tratta di scaricare altrove le brutte figure, si è volatilizzato come se le ultime tragicomiche vicende del partito, di cui è pur sempre il segretario, non lo riguardassero. Il problema è che questo suo atteggiamento sempre più apertamente sprezzante sta trasformando i Dem in una polveriera di rancori dove tutti (o quasi) hanno un motivo per essere incazzati con lui.
Infatti, come se non gli fossero sufficienti i nemici col botto, tipo D’Alema e le sinistre interne, anche tra i sostenitori del leader va ingrossandosi la schiera di chi si sente scaricato o comunque non tenuto in sufficiente considerazione. A Napoli, dopo i noti casini, la candidatura a sindaco di Valeria Valente rischia di essere vanificata dall’ira funesta di Bassolino, pronto a presentarsi con una sua lista che sancirebbe la spaccatura del partito spianando la strada alla rielezione di De Magistris. Imbarazzante anche la situazione di Giachetti a Roma che, convinto da Renzi a correre si trova adesso a gestire una vittoria di Pirro e un partito decapitato da Mafia capitale, e poco propenso a versare il sangue per un politico di provenienza radicale, del tutto estraneo alle camarille capitoline.
Renzi, è cosa nota, ha usato le primarie per scalare il Pd e il Pd per scalare il governo. Dopodiché, sia le primarie che il Pd rappresentano per lui una scocciatura. O, nel migliore dei casi, un’auto usata piuttosto sgangherata, che lui tiene in garage e su cui ogni tanto sale per farsi un giro. Del resto, come ci conferma il docente di scienza politica, Franco Fabbrini sull’ultimo numero di formiche, dedicato all’effetto House of cards, “oggi i partiti sono organismi a supporto dei leader, e se non dispongono di buoni leader spariscono dal mercato elettorale”. Infatti “sono i leader che sempre di più incarnano gli interessi nazionali, e sono i leader che possono bucare l’audience televisiva, non già un’entità astratta come i partiti”. Come dire: è Renzi che tiene in vita il Pd e non viceversa.
Ma, oltre l’analisi politologica, il senso di superiorità di Renzi nei confronti del suo partito (e del resto del mondo) sembra l’effetto di una sbornia e di un cocktail etilico: il Principe di Machiavelli (letto male), una spruzzata del marchese del Grillo (io so’ io, eccetera), più dosi massicce di Francis “Frank” Underwood. Del cinico scalatore della Casa Bianca, il premier è un fan appassionato: si è fatto immortalare mentre acquistava i dvd della serie, la cui visione ha consigliato caldamente ai parlamentari pd, onde addestrarli a una narrazione pop della politica, detta anche storytelling. Non è un caso se “i giovani politici italiani che si sono formati su Happy Days, ora a quanto pare non possano fare a meno di House of cards del sulfureo protagonista” (Fabio Benincasa). Tutto, ovviamente, va riportato alle dimensioni della nostra realtà e a una gestione del potere che pur non priva di tradimenti e bassezze “difficilmente riesce a sembrare seria e tragica, ma trascolora indefinitamente nel grottesco e nell’orgiastico”. Sempre su formiche, un altro studioso di media e potere, John J. Pitney Jr. cita due affermazioni che non saranno sfuggite a Renzi. Quando alla cena dei corrispondenti dalla Casa Bianca, Space-Underwood dice: “Posso mentire, ingannare, intimidire per ottenere ciò che voglio, ma alla fine porto a casa il lavoro. Quindi spero che alcuni di voi abbiano preso appunti”. Poi, quando all’inizio della seconda stagione ammette: “A un passo dalla presidenza senza neanche un voto per me. La democrazia è così sopravvalutata”. Appunto. Sottovalutata (da Renzi) sembra invece l’insofferenza che va coagulandosi dentro e fuori il Pd per certi suoi metodi spicci. Eppure fu Michael Dobbs, ispiratore della sera ad avvertirlo: “Guarda Matteo che non è un manuale d’istruzioni”. Del resto, Frank Underwood tradotto in italiano diventa Franco Sottobosco. E non occorre aggiungere altro.