Libero, 12 marzo 2016
«Matteo devi occuparti più di agricoltura». Intervista a Nicola Bovoli, zio di Renzi
«Glielo ho detto: Matteo devi occuparti più di agricoltura. Ma pare che abbia altro da fare anche se il Lotti ( Luca, sottosegretario alla presidenza del consiglio n.d.r.) quando gli ho fatto notare che sull’olio si rischiava di fare qualche errore di troppo m’è stato a sentire».
Chi parla è Nicola Bovoli. È lo zio di Matteo Renzi. Fiorentino, finito a Milano dove per decenni è stato uno dei top manager dell’editoria, da una ventina d’anni ritiratosi a Vicopisano, splendido borgo medievale tra Pisa e Firenze, dove produce uno dei migliori extravergine del mondo, biologico e pluripremiato nella sua azienda: il suo Frantoio di Vicopisano. È il giorno dopo del via libera dell’Ue all’olio tunisino senza dazi (70 mila tonnellate in due ani) e con Bovoli cerchiamo di capire come stanno le cose.. È un rischio serio quest’olio che arriva dall’Africa?
«Per me è più un problema per la Spagna e per gli imbottigliatori che per noi italiani a condizione che si punti alla massima qualità. Se poi si fanno i “mischioni” la faccenda cambia. Bisogna fare controlli severi tutelando allo stesso tempo i produttori di vero extravergine italiano e i consumatori. Che se vogliono possono decidere di comprare anche l’olio miscelato, ma devono sapere cosa comprano. Aggiungo: meglio miscelare l’olio tunisino che certi oli spagnoli fatti con la Pequel di pessima qualità. L’olio italiano però ha tanti altri problemi, anche più gravi».
Per esempio?
«Il fatto che anche qui in Toscana si voglia fare olivicoltura intensiva come in Spagna. L’olio viene una schifezza. Eppure c’è chi sta investendo milioni convinto che con la quantità si faccia business. E al contempo ci sono ettari ed ettari di ulivete antiche abbandonate. E poi non c’è chiarezza sui prezzi e ci vuole la totale tracciabilità dell’olio. Altrimenti questo settore agricolo che impatta sul paesaggio, sul turismo, sulla salute non sta in piedi».
Eppure lei fa un olio eccelso e lo vende a prezzi remunerativi…
«Ma io ho investito nel frantoio. Le ultime macchine che ho comprato da Pieralisi fanno olio senza acqua di vegetazione: se ne estrae di più, non ci sono rifiuti e l’olio è migliore. Le sanse liquide le mando al digestore e si fa anche l’energia. Io ho 3500 piante d’ulivo e servo come frantoio un migliaio di olivicoltori. Il problema non sono quelli che fanno dieci quintali per consumo familiare, il problema sono quelli che hanno da tremila piante in su. Fanno un olio buonissimo però non riescono a farselo pagare perché ognuno va per conto suo. La concorrenza al ribasso ce la facciamo da soli. Però va detto che sull’olio c’è poca attenzione anche da parte della politica».
Ma come, col nipote che ha?
«Tutti ora mi chiamano lo zio di Renzi. Piano: è lui che è mio nipote. Gliel’ho detto e lui fin da bimbo vive in mezzo agli ulivi. Sono quelli che ho piantato io casa dei miei genitori, poi quando sono venuto qui a Vicopisano li ho lasciati a mia sorella e il babbo di Matteo si diverte a coltivare l’ulivo. E Matteo è goloso di bruschetta».
L’olio tunisino è una bruschetta amara soprattutto per il Sud?
«Invece ne può venire del buono. È un po’ come il caso Ciravegna per il vino. Darà uno scossone. I consumatori cominceranno a domandarsi da dove viene l’olio, come mai costa poco. Se siamo bravi ne possiamo fare un’opportunità».
Lei firmò la campagna di rilancio del vino italiano dopo il metanolo. Con Veronelli giusto?
«Premettiamo che col metanolo morì della gente e che l’olio non ammazza nessuno. Feci quella campagna usando Veronelli e poi le grandi famiglie del vino per far capire che il metanolo era stato un incidente di percorso. Si potrebbe fare lo stesso con l’olio approfittando di questo clamore sulla Tunisia. Ma allora i giornali contavano. Non c’è più il mercato editoriale di una volta».
Dopo la fusione Repubblica-Stampa ci sono anche pochi editori …
«Queste concentrazioni dimostrano che invece di rilanciare rispetto alla crisi ci si difende. E poi alla Fiat dell’Italia gli importa più poco. Gli editori di oggi stanno lì a lamentarsi di internet e stanno sulla difensiva come il Corriere. Ma internet non fa informazione: è un maremagnum. Gli editori dovrebbero rilanciare sulla qualità, poi se invece della carta usi internet non cambia nulla. I contenuti però devono essere fatti da bravi giornalisti e te li devi far pagare. Come con l’olio: la Tunisia ti fa concorrenza se fai olio mediocre e lo vendi a poco. Se fai grandi non c’è pericolo. Però devi difenderli. Insomma ci devi credere. Magari questo a mio nipote glielo devo dire».