la Repubblica, 12 marzo 2016
Chi è Ismail Shukri? Ritratto del colonnello di Misurata che pur di dare la caccia all’Isis non sa più dov’è la sua famiglia
«Noi siamo i boots on the ground», le truppe sul terreno. L’uomo che dà la caccia ai miliziani del califfato è un colonnello di Misurata alto e massiccio. Si chiama Ismail Shukri. Ha un telefonino, non la mail. «Non la uso, nessuno sa dove dormo, non so più dov’è la mia famiglia, e forse non mi chiamo Ismail...». L’uomo a cui il colonnello Ismail dà la caccia invece ha cambiato nome: adesso si chiama Abdel Qader Al Najdi. Lui di sicuro è un fantasma, forse è un saudita, non si sa dove dorme, ma dovrebbe comandare i miliziani del Califfato a Sirte, la capitale in Libia dello Stato Islamico. Al Najdi avrebbe sostituito Al Maghirah Al Qahtani, ucciso in un raid americano. E prima di lui ce n’era un altro, anche lui ucciso in un raid. Questa caccia americana continua da mesi, dopo il blitz di Sabrata anche nel centro della Libia sta per partire la “grande guerra” per sloggiare l’Is da Sirte. Per parlare con Shukri bisogna prima passare dal colonnello S.: un’oretta sui divani di un oscuro albergo in cui è lui che intervista il giornalista. Il giono dopo si va dal capo. Superando portoni e cancelli di ferro si entra in uno degli uffici blindati dell’intelligence militare di Misurata, la città-guerriera che è in prima linea contro il Califfato. «L’attacco a Sabrata degli americani – dice Shukri – è stato molto importante: innanzitutto perché è chiaro che è avvenuto con una buona intelligence locale, e che quindi le nostre milizie rivoluzionarie hanno iniziato a collaborare con gli americani contro l’Is. Ma poi perché operativamente ha interrotto una catena logistica importante per lo Stato islamico nell’Ovest della Libia. Gli scontri di Ben Guardane sono frutto di questa evoluzione: i miliziani hanno provato a spostarsi verso la Tunisia, ma i tunisini erano pronti, avevano le loro informazioni: hanno steso una rete e quelli ci sono caduti dentro. Noi qui da Misurata controlliamo il fronte centrale: il nostro posto avanzato verso Est è quello di Abu Grain (dove mercoledì i militanti hanno ucciso tre soldati di Misurata, ndr), verso Sud arriviamo a Jufra».
Shukri al momento ha un altro timore: «A terra poco alla volta, con gli aiuti dell’America e dell’Europa, noi riusciremo a soffocare questa gente. Ma sono ancora capaci di fare molto male, di colpirci e di colpire voi, anche in Europa. Ancora hanno il mare a disposizione: con le loro barche spostano uomini senza grandi problemi, muovono rifornimenti di armi. Anche per questo l’Is in Libia ha preferito sempre prendere delle città sulla costa, Sirte, Derna, Sabrata, per poi magari spingersi verso l’interno». Un allarme confermato dall’Onu che descrive l’Is «sempre più forte», grazie a un imponente traffico di armi, anche pesanti.
Il colonnello conferma alcuni punti conosciuti, ma offre una spiegazione chiara a quelle che sembravano mosse azzardate o poco chiare del califfo. «Perché hanno scelto Sirte? Perché è sul mare, perché era la città di Gheddafi e c’era una popolazione ostile ai rivoluzionari, che prima li ha accolti a braccia aperte, e adesso o prova a fuggire o rimane in ostaggio. Ma gli ex militanti gheddafiani sono con loro, sperano nell’Is per far saltare la rivoluzione che ha le sue difficoltà, ma che noi abbiamo fatto per rovesciare il regime».
Shukri analizza le dinamiche che in altri luoghi hanno portato alle prime sconfitte del califfato. «A Sabrata alla fine le milizie locali li hanno combattuti; a Derna le milizie islamiche della Shura li hanno martellati e costretti a ritirarsi. A Sirte non è stato ancora possibile perché lì si stanno concentrando i sopravvissuti di Gheddafi. Gli ex-gheddafiani hanno scelto lo Stato Islamico per vendicarsi, per provare a riprendere un pezzo di potere».
Con l’avanzata di gennaio da Sirte i terroristi provarono ad attaccare la “mezzaluna petrolifera” da Agedabia in poi. «Sapevano che non avrebbero potuto gestire i pozzi, ma hanno scelto di muoversi lo stesso innanzitutto per conquistare nuove posizioni, avanzando lungo la costa. Poi il secondo obiettivo: distruggendo i depositi toglievano risorse alle autorità che vogliono combattere». Misurata quindi prepara l’attacco, «ma non distruggeremo tutto, non bombarderemo la città, la centrale elettrica dove ci sono gli scudi umani», dice il colonnello. Che chiude con un ultimo avvertimento: «A Sirte lo Stato islamico controlla anche una aeroporto: dobbiamo muoverci, e spero proprio che americani ed europei lo capiscano. Noi siamo i boots on the ground, ma abbiamo bisogno di tutto».