la Repubblica, 12 marzo 2016
Così Draghi cerca di far risalire i prezzi
Gli eleganti modelli econometrici della Bce suggeriscono che il pacchetto varato giovedì da Draghi potrebbe valere due decimali di inflazione nel 2018. Qualcosa che potrebbe riportare la media all’1,8% (la stima dell’1,6% fornita l’altroieri è ovviamente al netto del nuovo bazooka) e il dato a fine anno più vicino al 2%, cioè all’obiettivo statutario dei guardiani dell’euro. Ma non è tutto. Quello messo insieme dal presidente della Bce è in realtà un pacchetto “ecumenico”, che dovrebbe accontentare moltissimi colleghi attorno al tavolo perché offre risposte piuttosto generose ai nodi che stanno frenando la ripresa in alcuni Paesi o che ne impensieriscono comunque i governi e i governatori. Infatti la discussione, che pare sia stata vivace, sembra anche che sia andata molto meglio di quanto preventivato da qualcuno. Anche il “solito” bastian contrario, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che non aveva diritto di voto ma che ha ovviamente espresso la sua opinione, si è detto favorevole a quasi tutte le misure, fuorché l’ampliamento del Quantitative easing, l’acquisto di titoli privati e pubblici. Che l’acquisto di bond governativi sia dal 2010 uno dei maggiori punti di rottura tra la Bundesbank e i vertici Bce, è noto. La seconda opinione contraria non registrata dal Consiglio direttivo a causa del sistema di rotazione dei voti è quello del governatore della Banca centrale estone, Ardo Hansson. A dimostrazione che il fronte dei “nuovi falchi” si è allargato ai Baltici. La sorpresa, piuttosto, è che tra gli scettici sia finito questa volta anche il governatore francese, François Villeroy de Galhau, contrario al taglio dei tassi; avrebbe votato a favore del pacchetto con molti dubbi. Ufficialmente contrari e con diritto di voto, invece, l’esponente tedesca del Comitato direttivo, Sabine Lautenschläger e il governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot. E forse un’occhiata alle misure principali e ai problemi che affliggono ancora le maggiori economie europee può offrire una parziale spiegazione alla “stragrande maggioranza” dei governatori che hanno sottoscritto le mosse volute da Draghi. La preoccupazione per l’andamento dell’inflazione e della crescita – il quadro si è incupito in particolare negli ultimissimi mesi, costringendo l’Eurotower a rivedere giovedì pesantemente le stime formulate a dicembre – è condiviso da tutti. Ma è chiaro che l’ampliamento del programma di acquisti di titoli da 60 a 80 miliardi potrebbe aver rasserenato alcuni top manager in giro per l’Europa, alle prese con crisi più o meno gravi. Certo, la Bce sta ancora decidendo i criteri di ammissione: per ora si sa che le aziende che vorranno vendere obbligazioni dovranno avere un merito di credito alto, il cosiddetto investment
grade Ora, al netto dell’«attacco frontale al risparmiatore» che il bazooka di Draghi rappresenterebbe, come ha scritto con la consueta sobrietà l’Handelsblatt (che ieri aveva in copertina un Draghi che si fumava rotoli di banconote delle martoriate formichine tedesche), c’è da chiedersi se i commentatori tedeschi continueranno a massacrare la Bce anche se e quando comincerà a comprare, per fare un esempio qualsiasi, obbligazioni Volkswagen. O bond dei grandi colossi energetici dai conti un po’ traballanti come Rwe. In generale, sono molte aziende tedesche, ma anche francesi che potrebbero aver tirato un sospiro di sollievo all’idea di poter attingere al rubinetto di Francoforte. Così come è chiaro che sistemi bancari sotto pressione come quello italiano possano sentirsi sollevati all’idea che a giugno parta un’altra, colossale operazione di liquidità riassunta in un impronunciabile acronimo, Tltro. Se ricominceranno a fare prestiti, verranno persino pagati dall’Eurotower.