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 2016  marzo 12 Sabato calendario

Le donne sono il termometro del malaffare

Come i maschi, più dei maschi. E non si tratta di un segno di emancipazione, ma di un altro campanello d’allarme sulla grande slavina morale del nostro paese. Perché gli studi sociali sulla “corruzione di genere” sostengono che le donne sono il termometro del malaffare. Cosa significa? Se un sistema è sano, le quote rose sono il migliore antidoto alle bustarelle e le signore al potere saranno le paladine dell’onestà. Ma se una nazione è infetta, allora non solo tenderanno ad adeguarsi al malcostume ma cercheranno persino di superare i colleghi. Le cronache giudiziarie che segnalano sempre più spesso il capovolgimento dei ruoli e l’avanzata di un nuovo sesso forte di Tangentopoli rischiano così di essere l’ultimo indice del degrado. Anche la retata di ieri sugli appalti dell’Anas ha come protagonista una donna: Antonella Accroglianò, top manager ora pentita, con una carriera cominciata a soli 19 anni nell’impero statale dell’asfalto e la manifesta ambizione di diventare la regina di tutti gli affari stradali della penisola. È da sei mesi che le indagini si focalizzano su lady con la bustarella nella borsetta. Tutte con posizioni di riguardo. Come l’importante magistrato palermitano Silvana Saguto, l’imprenditrice lombarda Maria Paola Canegrati, il sindaco della primavera casertana Rosa De Lucia, il giudice tributario brianzolo Marina Seregni. Bisogna subito mettere da parte le malizie sessiste: si sono imposte senza sfruttare il fascino femminile, ma solo grazie alla determinazione e spesso alla competenza. Sono selfmade woman e se ne vantano. La Canegrati è orgogliosa di «venire dalla strada»: «Ho fatto tanti soldi, ne ho regalati tanti». Non sembrano prestare particolare attenzioni al lusso o al look, mentre curano la loro immagine pubblica: si mostrano come alfieri dell’innovazione e spesso dell’etica. Prima di finire sotto accusa – con addebiti che tutte hanno respinto – la Saguto decideva le sorti dei patrimoni miliardari sottratti alla mafia; la De Lucia era il volto pulito della politica campana e la Canegrati si presentava come l’angelo delle “dentiere sociali” per i ceti impoveriti dalla crisi.
I reati contestati sembrano più frutto di calcolo che di ingordigia: hanno in testa il potere e usano i soldi come strumento. Paiono volere gestire il lecito e l’illecito, quasi fosse una condizione indispensabile per essere rispettate. Ed ecco che il loro profilo sembra ricalcare i trattati internazionali sulla “corruzione di genere”. Una quindicina di anni fa in tutto il mondo si è creduto che le donne potessero essere l’arma finale contro le mazzette. Lo indicavano studi sociologici condotti da Città del Messico a Lima: più ragazze in servizio, più mani pulite. Ma erano ricerche condotte sul breve periodo. E analisi recenti hanno messo in discussione “il mito della purezza”. La base è che le donne sono più sagge e non si accollano rischi. Quindi se operano in un sistema virtuoso, sono meno disposte a venire a patti con il malaffare. Allo stesso tempo, però, quando entrano in organismi infetti cercano di primeggiare nel mercato dell’intrallazzo, perché la virtù ostacolerebbe non solo la carriera ma pure la sopravvivenza sul lavoro. Insomma, se le donne rubano come gli uomini, allora significa che siamo proprio messi male.