il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2016
«Bisogna fermare Putin». L’appello del premio Nobel Svetlana Aleksievic
Bisogna fermare Putin”. Svetlana Aleksievic lo dice forte e chiaro: “Bisogna fermare Putin e la sua idea di una Russia grande e circondata da nemici. Io sono una pacifista, penso che bisogna uccidere le idee e non la gente”. La premio Nobel per la letteratura ci accoglie nella sede del Literarisches Colloquium di Berlino, un elegante edificio dai mattoni rossi sulle sponde di un suggestivo laghetto e con gli interni in legno intarsiato. Ad essere tutt’altro che sofisticato è invece il suo abbigliamento: indossa un semplice maglioncino rosa e ha al collo una sciarpa di lana rosa e bordeaux. Potrebbe benissimo essere uno dei tanti personaggi a cui ha dato voce nei suoi libri, una di quelle persone comuni colpite dalle tragedie della storia sovietica e post-sovietica.
Alla scrittrice di Minsk sta particolarmente a cuore l’Ucraina, perché è in questo lembo dell’allora Urss che è nata quasi 68 anni fa da madre ucraina e padre bielorusso. “Ho parenti in Russia, in Ucraina e in Bielorussia” spiega. Poi racconta di un cugino ucraino più giovane che “si è trasferito in Canada con tutta la famiglia perché non vuole più far parte di questa realtà, non vuole uccidere i propri fratelli. Vuole lasciarsi alle spalle l’odio, ma per dimenticare l’odio ci vorranno ancora tanti anni”.
Già, l’odio: “Mi ha davvero impressionato – dice – come Russia e Ucraina abbiano subito messo da parte tutta la loro cultura comune e come invece sia uscito improvvisamente fuori tutto questo odio. È incredibile quanto basti poco a trasformare un uomo in un animale”.
Svetlana Aleksievic parla con calma, dipanando attentamente il filo del suo ragionamento. Il suo sguardo è serio, a tratti triste. “L’unica cosa che per ora ferma Putin sono le sanzioni contro la Russia, e quindi queste sanzioni devono rimanere perché sono loro a frenare l’aggressione”. Secondo lei chi le vorrebbe cancellare guarda solo al suo piccolo orticello. “Quelli che non vogliono le sanzioni – afferma – forse vogliono risolvere i propri problemi, pensano ai propri interessi economici. Credo che se negli Anni Trenta il mondo avesse agito con maggiore unità, senza che ognuno badasse esclusivamente ai propri interessi particolari, sarebbe stato possibile fermare Hitler”.
Per lei, anche la recente decisione dell’Ue di congelare buona parte delle sanzioni contro la Bielorussia di Lukashenko è un errore: “Per l’opposizione bielorussa – spiega – forse è una cosa negativa perché così non cambierà mai niente. L’Unione europea probabilmente vorrebbe allontanare la Bielorussia dal Cremlino, ma Putin – sostiene – non la lascerà andare”. Ragazzi di zinco è uno dei libri più famosi di Svetlana Aleksievich, raccoglie le testimonianze dei sovietici che hanno combattuto in Afghanistan e di quelli che hanno visto i propri figli tornare in una cassa di zinco per essere sepolti di nascosto, nottetempo. Adesso, sottolinea la scrittrice, avviene qualcosa di simile: Mosca cerca di nascondere i propri morti. Ma “i soldati che adesso vanno in Ucraina lo fanno per contratto, cioè per guadagnare soldi”, e mentre “prima le madri piangevano e urlavano” perché avevano perduto in guerra un figlio, “ora nessuno dice niente” per non perdere il diritto alla “ricompensa, quel milione di rubli con cui magari comprare la casa alla figlia”. Vladimir Putin, denuncia, “sta trasformando la Russia in uno Stato militare e di questo il mondo ha paura, mentre quelli che si alleano con Putin non capiscono quanto sia pericoloso”.
A 25 anni dal crollo dell’Unione sovietica secondo Aleksievic “l’impero non esiste più, esiste però ancora l’uomo rosso: persone per cui è facile cominciare una guerra, è facile iniziare a odiare, gente che ha vissuto ai tempi dell’Urss e crede di far parte di una grande potenza, e di avere nemici. Costoro – spiega – fanno crescere i propri figli con gli stessi insegnamenti, ancora sovietici, e forse ci vorrà ancora una generazione per abbandonare questo tipo di educazione”.
Ma ad Aleksievic non va giù neanche il modo in cui alcuni Stati europei stanno gestendo il flusso dei migranti. “Andiamo verso un mondo con sempre più profughi – dice – e non ci saranno solo quelli che scappano dalle guerre, ci saranno per esempio anche migranti ecologici perché si sa che con i cambiamenti climatici la gente dovrà spostarsi. Dobbiamo imparare ad adattarci all’altro: è questo il nostro futuro”.
Uno dei più gravi disastri ambientali della storia è certamente quello della centrale nucleare di Chernobyl, al centro di un altro celebre libro della Aleksievic, Preghiera per Chernobyl. “I primi giorni dopo la sciagura non sapevamo niente. Era un segreto – racconta emozionata la scrittrice – e non avevamo nessuna informazione. Io ero a Minsk e mia sorella era ammalata, non lo sapeva ma era ammalata, ed è morta dopo”. L’Urss si è trovata impreparata davanti alla tragedia di Chernobyl. “C’erano militari armati dappertutto, un sacco di mezzi militari, elicotteri: non capivano che le radiazioni sono una cosa che non si vede e non si sente, qualcosa di trasparente e intangibile, e nessuno sapeva come affrontare un disastro di questo tipo”.