la Lettura, 13 marzo 2016
Girare il mondo con Amleto
Quando incontriamo Naeem e Amanda nella hall di un albergo di Bruxelles, la loro 170ª «casa» in quasi 24 mesi, lui esordisce così: «Non ho idea di che giorno sia». «Sono piuttosto sicura che sia mercoledì», gli fa lei. «Ah, è giovedì!?». Si guardano, poi si voltano ridendo: «Vedi? Il tempo diventa irrilevante».
È l’aprile del 2014, 450° anniversario della nascita di William Shakespeare, quando Naeem Hayat, Amanda Wilkin, altri dieci attori e quattro direttori di scena lasciano Londra per cominciare un’impresa senza precedenti nella storia del teatro: portare la stessa produzione di Amleto in tutti i Paesi del mondo. Partendo dal Globe, il teatro ricostruito nel 1997 sulla riva sud del Tamigi, a pochi passi dal sito dell’originale shakespeariano, hanno recitato su palcoscenici elisabettiani e per strada, nei campi profughi e in un castello, in Paesi dove Shakespeare non era mai stato messo in scena o dai quali mancava da decenni. Il 23 aprile, quando torneranno alla base, in coincidenza con il 400° anniversario della morte del grande drammaturgo, avranno toccato 197 nazioni e percorso oltre 300 mila chilometri.
«L’idea – ricorda Dominic Dromgoole, direttore del Globe e regista di questo adattamento – nasce nel 2012. Nell’ambito dell’Olimpiade culturale che accompagnò i Giochi Olimpici, ospitammo il festival Globe to Globe. In sei settimane 37 compagnie di 37 Paesi portarono in scena Shakespeare in mandarino, giapponese, arabo… Una sera che eravamo fuori a festeggiare venne l’intuizione: perché non ricambiare il favore?». «Gli attori – spiega a “la Lettura” una delle producer, Tamsin Mehta, nell’intervallo dello spettacolo al teatro Saint-Michel della capitale belga – sono quasi tutti giovani o semi esordienti. Chi altri avrebbe accettato di partire così per due anni?». Ma per Naeem e Amanda il sì è stato facile. «È un’esperienza che ti cambia la vita, come attore e come persona», dice lui. «Svegliarti e non sapere dove sei, com’è il posto in cui sei arrivato la notte prima, vivere completamente nel presente – prosegue lei – mi mancherà».
Di contro c’è la fatica di una tabella di marcia rigidissima, i bagagli persi, le «scorte infinite di vitamina C» per non ammalarsi, gli alti e bassi di una convivenza forzata con persone che non conoscevi e con cui ti ritrovi a dividere lavoro, viaggi, tempo libero. «Se litighiamo? Certo! Siamo una famiglia disfunzionale!».
Una delle sorprese più belle di questi mesi sulla strada, non hanno dubbi, è stato il rapporto con il pubblico. «Credo – riflette Amanda – si avvicini molto a quello che provavano gli attori all’epoca di Shakespeare. Abbiamo assistito a reazioni molto diverse da quelle composte cui siamo abituati. Ci sono posti come i Caraibi dove la gente parla tutto il tempo, commenta, a volte urlando, quello che sta accadendo in scena».
Nelle intenzioni di Dromgoole anche l’eterogeneità del cast doveva aiutare gli spettatori a immedesimarsi. Naeem viene da una famiglia pachistana dell’East London e divide il ruolo di Amleto con Ladi Emeruwa, di origini nigeriane. Jennifer Leong, che come Amanda interpreta Ofelia, è di Hong Kong. Amanda, che a turno fa Ofelia, Gertrude e Orazio, ha radici giamaicane e cubane. «Molti spettatori vengono da me a fine rappresentazione – racconta – e commentano entusiasti il fatto che siamo così diversi. Quando ero piccola non andavo a teatro molto spesso ma quando lo facevo sul palcoscenico erano per la maggior parte bianchi, e maschi. La nostra compagnia dimostra che Shakespeare non è per un solo tipo di persone». D’altronde, interviene Naeem, «tutti hanno un momento “essere o non essere”, tutti abbiamo un momento “che capolavoro è l’uomo”, che ti succeda a 75 anni su una spiaggia o a 17 nella tua stanza mentre ascolti gli Slipknot».
«È toccante anche vedere come cambia la risposta del pubblico a seconda della storia recente del Paese in cui ci troviamo», sottolinea Amanda. E a entrambi viene in mente il Ruanda, dove la compagnia ha recitato in un campus che fu teatro di razzie e atrocità negli anni del genocidio. «C’è un passaggio dell’ Amleto, l’“Ahimè, povero Yorick” – dice Naeem – in cui si vede un giovane uomo con il teschio di un altro uomo in mano. Se per noi quell’immagine è il simbolo della filosofia, delle riflessioni sulla mortalità, in un posto così non puoi fare a meno di pensare che quella scena ricorda il vicino passato. La nostra generazione non ha avuto tragedie come quella con cui fare i conti, non sappiamo come ci si senta. In quel pubblico c’erano persone che lo sapevano».
I vagabondi del Globe non riusciranno a toccare proprio ogni Paese della superficie terreste. La Corea del Nord è sfumata dopo lunghe trattative («volevano che inserissimo nello spettacolo dei numeri acrobatici. Sarà il mio prossimo tour, l’Amleto acrobatico!», scherza Naeem); Siria, Yemen, Repubblica Centrafricana e Libia sono stati esclusi perché troppo pericolosi. Ma Amanda e gli altri hanno recitato per i rifugiati siriani nel campo profughi di Zaatari in Giordania, per gli yemeniti nel campo di Markazi in Gibuti, per i rifugiati libici a Malta, per quelli della Repubblica Centrafricana a Mandjou, in Camerun. E sono stati, agli inizi di febbraio, nella «Giungla» di Calais.
Tappe non previste, imposte dagli eventi. «Se il cuore di questo tour è portare Shakespeare a più persone possibili, arrivare a Calais era fondamentale», dice Naeem: «È ovvio che la cosa essenziale per chi è in quei campi è avere del cibo e un riparo, e nessuno qui fa finta che Shakespeare possa cambiare il mondo, però è importante anche far sentire e trattare queste persone come esseri umani». Amanda cambia espressione: «Questa gente ti chiede dei tuoi viaggi, del perché col tuo passaporto puoi andare dove vuoi. E ti rendi conto che solo per caso sei nato e cresciuto in un posto in cui non hai dovuto temere per la vita. Noi siamo dei contastorie e raccontiamo la nostra storia, spero che qualcuno sia in grado di ascoltare la loro», conclude.
In questi due anni intorno al mondo lei e i suoi compagni di viaggio si sono trovati spesso a sfiorare grandi eventi, come quando, a Kiev, sono andati in scena alla vigilia delle presidenziali, il 24 maggio 2014: «Petro Poroshenko (eletto dopo poche ore, ndr ) era nel pubblico, ed è stato toccante, anche perché avevamo trascorso il giorno prima in piazza Maidan parlando con chi c’era stato durante la rivolta ed era ancora accampato lì. C’era un’energia palpabile nell’aria».
Come non puoi, dopo due anni a carambolare da una parte all’altra del mondo, non aver compilato una lista lunghissima di posti in cui tornare. «La mia si allunga di giorno in giorno», sospira Naeem. Per avere qualche assaggio in più dei Paesi in cui si trovano, nonostante i tempi strettissimi (ogni sera smontano la piccola scenografia quando ancora il teatro si sta svuotando), raccontano di essere diventati esperti di «turismo estremo». Un pomeriggio, sulla strada verso l’aeroporto del Cairo di ritorno da una performance ad Alessandria, hanno deciso che non sarebbero ripartiti senza aver visto le piramidi. Ma era tardi, e la loro guida ha dovuto corrompere i custodi per farli entrare: così si sono ritrovati, completamente soli, in sella a cavalli e cammelli, a girare intorno a una delle sette meraviglie del mondo. «Ci siamo sentiti un po’ Indiana Jones – ride Naeem – e poco dopo, in coda per il check-in, ci siamo guardati e ci siamo detti: davvero siamo appena stati alle piramidi di Giza?».
L’ Amleto itinerante del Globe arriverà in Italia, al teatro Rossetti di Trieste, il 16 aprile. Tre giorni prima, la compagnia sarà in Vaticano. Naeem spera di avere un po’ di tempo per visitare Roma. «Sono un fan della Grande bellezza – si congeda – e adoro Toni Servillo».