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 2016  marzo 13 Domenica calendario

L’ex tassista che si è comprato un Modigliani

È domenica mattina, gruppi di jogger con tute da maratoneti professionisti e scarpette sgargianti corrono sul lungofiume, sotto altissime e immobili gru da carico e due massicci scivoli per il carbone abbandonati. Shanghai ha già un’archeologia industriale, anche se sono passati poco più di trent’anni dalla grande apertura al mercato «con caratteristiche cinesi». E ha già una giovane classe media che spende il tempo libero in attività salutiste, utilizzando piste pedonali appena tracciate nel tessuto urbano.
Ora, di fronte a questi resti di un porto sul fiume Huangpu mantenuti per non dimenticare da dove è cominciata la corsa dell’economia cinese verso il secondo posto nel mondo globalizzato, c’è una nuovissima struttura in cemento grigio: non è una fabbrica ma un centro d’arte, il Long Museum (significa «museo del drago»). Lo ha fatto costruire Liu Yiqian, 53 anni, entrato nelle cronache lo scorso novembre come il miliardario nato povero che si è regalato il Nu couché di Amedeo Modigliani per 170 milioni di dollari. Potrebbe sembrare l’ennesimo caso di nouveau riche che non sa come spendere i suoi milioni. E Liu ne ha tanti: perché investendo brillantemente in Borsa e poi diversificando nel settore delle assicurazioni ha accumulato una fortuna di almeno 2,8 miliardi di dollari.
Negli anni 70 il ragazzo Liu, classe 1963, tagliava stoffa e cuciva borse da pochi soldi; negli anni Ottanta faceva il tassista a Shanghai. Facile definirlo l’ex tassista con un Modigliani in salotto. Però, dopo averlo conosciuto di persona, averlo sentito raccontare le sue passioni, aver visitato il suo museo aperto a un pubblico già abbastanza numeroso, si scopre una storia tutta diversa. Un film dello sviluppo cinese degli ultimi tre decenni, non solo catene di montaggio ma anche aspirazioni sociali e spirituali.
Il Long Museum, disegnato da Atelier Deshaus e inaugurato nel 2012, con i suoi 33 mila metri quadrati, i suoi soffitti altissimi con volte a forma di ombrello dà l’idea di una cattedrale innalzata a questi sogni di crescita non solo materiali. Ma somiglia anche a un’officina di cultura: all’interno troviamo operai che imballano opere, altri che preparano una nuova mostra. Il 20 marzo apre la prima cinese di Olafur Eliasson, una raccolta di installazioni, sculture, dipinti, disegni e film, alcuni concepiti per il Long-Drago.
In una sala a scatola stanno lavorando sulla Luna artificiale, 4 metri di diametro e centinaia di lampade per ricreare la superficie del satellite con i suoi crateri, opera dell’artista pechinese Wang Yuyang; poi un cervo impagliato in un’armatura di cristallo del giapponese Kohei Nawa: da soli varrebbero la visita. Dipinti arditi su Mao: il presidente che saluta davanti a un Cristo in croce, una sua giacca in ceramica vuota, accanto ad altri di pura ortodossia rivoluzionaria. E poi calligrafie di epoca imperiale, avvolte dalla penombra perché la luce non le guasti. In una sala quasi al buio un trono zitan intagliato con draghi, appartenuto al grande imperatore Qianlong, comperato in un’asta da Sotheby’s per 11,1 milioni di dollari.
Facendo un conto approssimativo si può affermare che Liu e la moglie Wang Wei che lo accompagna in questo percorso abbiano speso poco meno di 400 milioni di dollari in vent’anni. Dicono che la loro collezione di tazzine Ming sia più completa di quella del Museo statale sulla Tienanmen. C’è anche qualche eccesso nelle gesta del mecenate della Nuova Cina: come quella volta che, subito dopo aver comperato una tazzina Ming in ceramica per 36 milioni di dollari, ha voluto celebrare bevendoci il tè. La profanazione di una reliquia risalente ai tempi dell’imperatore Chenghua (XV secolo)? Un insulto per uno dei dieci esemplari arrivati intatti fino a noi? Liu se l’è cavata dicendo che «è stato un attimo di eccitazione, che male c’è? Ci beveva l’imperatore, non era un prodotto per le masse. Sarà esposta nel mio museo, per la gente».
Per completare il quadro, si dice che Liu abbia saldato il conto con la sua carta Centurion di American Express e sia rimasto compiaciuto quando gli hanno accreditato 360 milioni di punti che ora usa per viaggiare gratis in aereo vita natural durante. Ma questa è l’avventura di un ragazzo che lasciò la scuola per lavorare in una bottega quando aveva 14 anni. È una storia dell’incredibile corsa della Cina, e anche delle sue ansie. «Ho avuto poco tempo per viaggiare – ci dirà Liu (l’intervista è nelle due pagine successive) – e sono stato solo in America, Francia, Giappone e Hong Kong, mai vista l’Italia. Trovo che la mia vita sia incompleta perché non sono stato in tanti posti». Come ha fatto ad avere successo? «Ho vissuto in una Cina poverissima, quando ci hanno dato la possibilità di uscire dalla pura sopravvivenza abbiamo colto le opportunità, una dopo l’altra, non è che ci abbiamo pensato molto». Ecco, il Long Museum tra le gru ormai abbandonate e gli scivoli del carbone è un’altra occasione: quella di condividere la bellezza raccolta con gli altri. E Liu dice che c’è anche spiritualità in questo.
S ignor Liu, scusi la banalità della domanda, ma perché ha deciso di spendere 170 milioni di dollari in un quadro?
Il signor Liu Yiqian è seduto su un divano del suo ufficio sotterraneo ma con vista sul prato nel Long Museum di Shanghai, giacca grigio antracite di sartoria, maglia nera girocollo, pantaloni di camoscio, scarpe italiane comode e di qualità. Ci guarda con un mezzo sorriso.
«Non è che abbia comprato un quadro appeso in una galleria, con un prezzo sul cartellino, il costo del Modì è stato stabilito alla fine della gara, c’erano altri concorrenti, è andata avanti con diversi rialzi e io non avevo fatto un preventivo. In queste cose bisogna scegliere in pochi minuti, è questione di secondi. Sono stato fortunato perché gli altri a 170 milioni hanno ceduto».
Ha sentito un brivido a 170 milioni?
«Non ero particolarmente emozionato durante l’asta, si riesce oppure no; e se si perde, i soldi restano in tasca (ride forte) . Vedendo il quadro la prima volta, mi ero emozionato. Lo avevano portato a Hong Kong ma non avevo pensato subito di prenderlo, mi interessava Modì, ero curioso, commosso dalla sua storia d’amore. Intendiamoci, sono diventato un mezzo esperto solo dopo averlo acquistato, perché mi sono arrivate addosso un sacco di informazioni» (ride ancora, di sé) .

Lei dice sempre Modì, il soprannome di Modigliani, quindi un po’ ha studiato...
«No, mi piace semplificare e Modì sono due caratteri in cinese, mentre Modigliani sono cinque».
Interrompe la conversazione per ricordare che ha molto da fare e riceve pochi giornalisti. Parla in fretta e con espressioni semplici.
In Occidente molti si stupiscono che un collezionista cinese spenda tanti milioni in opere d’arte europee. Trova che ci sia un pregiudizio nei confronti dei nuovi collezionisti cinesi?
«Se fosse stato un giapponese o un sudcoreano la curiosità non sarebbe stata così forte. Noi cinesi nel mercato dell’arte siamo diventati il nuovo fenomeno, dietro questo c’è la crescita della Cina che è diventata la seconda economia del mondo. E dopo aver creato ricchezza abbiamo sentito un bisogno di cultura e... sì, di spiritualità. Ora in Cina ci sono tanti come me, innamorati di una causa culturale o magari sociale. Costruiamo anche musei privati, come vedi, poi c’è chi ospita solo mostre di arte cinese tradizionale o contemporanea e qualcuno come me invece si allarga a collezioni asiatiche, sempre che se lo possa permettere. Io ho preso opere in Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Indonesia e India; ne ho già un certo numero. Avevo già acquistato altre opere occidentali, poi con Modì è arrivata la curiosità o il pregiudizio, non saprei definirlo, ma ho trovato anche una certa arroganza. Quando saremo più sviluppati il pregiudizio diminuirà».
Ha già ricevuto la tela di Modigliani? Dov’è?
«Non è ancora arrivata, è a New York».
Non le manca il «Nu couché» con tutto quello che lo ha pagato?
«L’ho già visto, per quanto mi possa mancare mica ci posso andare a letto la sera».
È andato a rivederlo dopo l’acquisto?
«Sì, ma è complicato perché è tutto imballato e quando ci vai debbono portarlo nella sede della casa d’aste e aprirlo e quando te ne vai debbono richiudere bene, un lavoraccio».
È passata mezz’ora e Liu Yiqian ha appena finito la quinta sigaretta, però è cortese, tiene socchiusa una finestra. Alla fine, nel portacenere ce ne saranno nove.
«Ho cominciato da ragazzo» , dice senza alcuna remora salutista.
Che marca sono?
«Zhong Hua, di Shanghai. Non sono le migliori, vengono 65 yuan a pacchetto» (9 euro) .
Mai provato i sigari toscani?
«Io non fumo i sigari. Sono abituato a queste...».
Modigliani li fumava, ce n’è anche uno con il suo nome e il suo volto sul pacchetto, dovrebbe provarli, per entrare nell’atmosfera...
Accende un’altra Zhong Hua.
Quando arriverà il «Nu couché»?
«Mia moglie ha pensato di organizzare una mostra di arte occidentale nel quinto anniversario della fondazione del museo, quindi nel 2017».
E sarà un avvenimento internazionale, perché il Nu couché, con la sua sensualità dirompente portata in primo piano, non era mai stato esposto in un museo prima, era rimasto per decenni in una collezione privata. Quindi, almeno un merito al signor Liu va riconosciuto.

Sua moglie Wang Wei è un’esperta di arte orientale, sappiamo che ama le opere cinesi rivoluzionarie. Ha avuto qualche dubbio nel suo acquisto di Modigliani?
«Era più tranquilla di me. E poi non c’era quando ho partecipato all’asta, forse è stata un po’ sorpresa».
E dopo, come ha commentato? Ha detto che aveva fatto bene o male?
«Perché mi chiedi questo?».
In genere in Italia tra marito e moglie si parla di queste cose.
«Hai capito male, hai capito male. Non pensare che io e mia moglie non ci parliamo. Sull’acquisto delle opere, sulla costruzione del museo andiamo molto d’accordo. Non ci sono divergenze. Con mia moglie Wang Wei sulla costruzione del museo e sulle collezioni artistiche andiamo sempre molto d’accordo. E poi ci siamo conosciuti che avevamo 23 anni, stiamo insieme da trenta».
Liu e Wang hanno quattro figli, la signora ha detto in un’intervista di aver cominciato ad amare davvero il marito al secondo. La coppia è solidale e solida: una fonte del mondo delle aste d’arte che li conosce bene dice a «la Lettura» che la signora è molto attiva, decide con lui. Liu e Wang hanno anche buoni consiglieri ma non sono come tanti nuovi miliardari che si fanno decorare la casa, hanno il loro gusto.

C’è un’opera che vorrebbe avere a qualsiasi prezzo?
«Penso che ogni cosa abbia il suo prezzo. “A qualsiasi prezzo” è solo un modo di dire, c’è sempre un prezzo».
Ha un’opera preferita nella sua collezione?
«Tutti gli acquisti li ho fatti perché le opere mi piacevano. Le rispetto tutte».
E una che ancora non ha?
«Nella vita desideriamo tante cose. Il desiderio è infinito. È la natura dell’uomo. Ma poi dipende dalle occasioni. Certi quadri ti possono piacere, ma appartengono ai musei e magari potranno circolare solo fra trecento anni. C’è sempre l’incertezza. Il collezionista segue le tendenze, a questo mondo tutto dev’essere fatto seguendo le tendenze. Che cosa comprerò alla prossima occasione? Oggi sono seduto qui a farmi intervistare, qualche anno fa non lo avrei proprio immaginato. Non sapevo di poter costruire il Museo del Drago. Che cosa vuoi che possa dire sul futuro?».
Allora parliamo un po’ del suo passato. È vero che ha fatto il tassista a Shanghai? Sembra una leggenda...
«Che cosa significa vero o meno vero? Leggenda? Certo che l’ho fatto. Ti stupisci perché da voi fare l’autista è sempre stato un lavoro modesto, ma bisogna pensare allo sviluppo sociale in Cina nel 1985, io ho guidato un taxi nel 1985, avevo comprato due macchine. Allora a Shanghai la gente doveva aspettare un’ora per prendere il taxi, erano molto ricercati. Non era un mestiere, era un business. Oggi naturalmente è tutto diverso. Ti spiego così capisci meglio: abbiamo potuto accumulare ricchezza in pochi anni grazie alle nuove opportunità offerte dal mercato. Ecco, io posso essere la fotografia della Cina dopo la riforma e l’apertura. Non è un miracolo mio, ma del nostro Paese che nel giro di trent’anni ha creato ricchezza e crescita economica. Forse nella storia non c’era mai stata un’ascesa così rapida. Ora che l’economia cinese ha un ritmo di crescita un po’ più lento, il mondo globalizzato ne subisce le fluttuazioni».
Abbiamo sentito un’altra cosa: da ragazzo ha lasciato la scuola per aiutare sua madre nel taglio e nella cucitura di borse da vendere al mercato. Dicono che lei abbia un pollice più grande per quanto ha impugnato le forbici. Vero?
Il miliardario-collezionista Liu passa la sigaretta nella sinistra e si guarda la mano destra.
«Sì, ho il pollice un po’ più grosso. Forse non sai come sono le forbici da sarti, sono pesanti e le ho usate a lungo. Non solo le borse sapevo fare, anche i vestiti e i pantaloni».

È una forma d’arte anche questa. I sarti italiani sono degli artisti.
Liu non si fa incantare dal tentativo di complimento.
«Era soprattutto per la sopravvivenza. Alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli Ottanta la Cina era tanto povera. Io ho vissuto la povertà della Cina e una buona stagione di crescita. Questo processo è nato dal bisogno di sopravvivenza, dalla ricerca di come liberarci dalla povertà, forse anche perché la nostra generazione ha un forte desiderio. Ci ha giocato anche la personalità... è difficile dire cosa ci rende diversi, la nostra generazione dico, forse è questa volontà di cambiare la vita e il destino. Questo istinto è diventato un’abitudine. Cosa abbiamo pensato? Non abbiamo pensato molto. È stato un risultato portato dalle circostanze sociali, dalle opportunità che si presentavano, dalla produzione delle borse al taxi, alla Borsa, all’azienda, al museo, tutto è stato graduale».
Lei ha guadagnato moltissimo in Borsa, dicono che è un genio infallibile, ci darebbe un consiglio?
«Se tutte le Borse nel mondo scendessero e basta, non ci sarebbero più Borse» (ride) .
Perché ha aperto due musei a Shanghai e tra poco uno a Chongqing?
«Non posso dire di averlo fatto solo per responsabilità sociale, non sono così nobile. Però tanti aspettano che gli altri si assumano più responsabilità di loro, se tutti agiscono così la società non fa più progressi. Ecco, la responsabilità sociale ha una certa importanza nel mio ragionamento. Insieme allo sviluppo economico sono cresciute le nostre passioni, compresa quella per la cultura, c’è bisogno anche di ammirare l’arte e io ho delle collezioni. Però, per quanto tempo può collezionare una persona? Diciamo cinquant’anni. Io spero che il Long Museum possa durare più di cinquant’anni, magari più di cento. È inutile usare grandi parole, io spero ma ci sono molte incertezze, tutto può succedere».
Ci sono state cose scritte su di lei dai giornali cinesi e stranieri che l’hanno ferita? Quali?
«Un uomo dev’essere generoso, ora non me la prendo più, la vita è difficile per tutti. Anche per i giornalisti, penso».