Corriere della Sera, 13 marzo 2016
Fare sesso per la prima volta
Maria Luisa Agnese e Maria Serena Natale pe ril Corriere della Sera
In origine era la verginità, ora si dice «prima volta». Perché quel primo incontro con l’amore, con il piacere e la paura del corpo, è sempre un passaggio di vita, una svolta che lascia il segno, ma si è liberato dell’antico senso di «imposizione» consegnandosi alla sfera dell’intimità, dove il contesto socio-culturale non pretende più prove né requisiti.
Resta un momento delicato, che oggi risente di una doppia ambivalenza. Da una parte infatti avere il primo rapporto sessuale «troppo presto» comporta i rischi di una scelta non ponderata il cui significato simbolico andrebbe elaborato e inserito in un percorso di costruzione dell’identità – e non sempre i pre-adolescenti hanno gli strumenti per gestire le conseguenze emotive della prima volta, che per una ragazza su dieci in Italia avviene sotto i 14 anni. Dall’altro lato arrivare all’appuntamento «troppo tardi» implica un sentimento di vergogna e di inadeguatezza, con il conseguente timore di essere rifiutati dalla comunità dei coetanei.
Nell’inchiesta di Radio27 abbiamo raccolto pareri di esperti come Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva; di genitori come Cecilia Storti, mamma di cinque figli di età compresa tra i venti e i dodici anni, che con il tempo ha accettato di rivedere le sue certezze su sessualità e matrimonio; della scrittrice Melissa Panarello, oggi trentenne, che nel 2003 scandalizzò con il romanzo di educazione sessual-sentimentale «100 colpi di spazzola prima di andare a dormire» e nel 2011 ha pubblicato «In Italia si chiama amore», viaggio fra pudori e trasgressioni, vizi privati e pubbliche virtù degli italiani.
In epoca di sessualizzazione precoce, con un flusso continuo di stimoli e pressioni da più direzioni che collegano gli indici di popolarità degli adolescenti nel «gruppo» direttamente all’esperienza sessuale, i ragazzi si sentono spesso chiamati a prove di potenza fisica senza potersi dare il tempo di collegare corpo e mente, mentre le ragazze sono spinte verso un’immagine sempre più standardizzata, sexy, ammiccante.
«I nostri figli non giocano più a fare i grandi – spiega Alberto Pellai – ma dispongono fin da subito di tutti gli strumenti per indossare un’identità “adultizzata” che non conosce passaggi graduali. Non hanno bisogno di prediche ma di essere aiutati a porsi le giuste domande».
Lì dove fino agli anni Sessanta il tabù era il sesso, oggi è la verginità a spaventare, riflette Melissa Panarello: «In quest’ansia di crescere il più in fretta possibile, liberarsi di quel peso diventa un rito iniziatico». Ma approdare alla sessualità non equivale a scoprire il piacere, di fronte al quale – soprattutto al piacere delle donne – la società prova ancora imbarazzo. Melissa P. ha pagato un prezzo per «100 colpi di spazzola»? «Certo. Le donne non devono avere voglie, desideri, tanto meno scriverne – per di più, la scrittura femminile è carnale, corporea. Il problema non si pone per gli uomini». Buon ascolto.
*****
Greta Sclaunich per il Corriere della Sera
Ci sono gli abiti lunghi, i fiori e le acconciature ad hoc. Proprio come nel Prom, il ballo di fine anno del liceo, rito di passaggio per tutti gli adolescenti americani. Anche i «Purity Ball» vogliono segnare un momento di passaggio, ma qui tutto gira intorno ad una promessa. Di castità: quella che le figlie, adolescenti, fanno al padre giurando che resteranno vergini fino alle nozze. Il rito è stato introdotto nella comunità evangelica di Colorado Springs nel 1998 e, di anno in anno, ha conquistato sempre più fedeli. Ma il concetto di preservarsi prima delle nozze ha preso piede anche in Sudamerica ed in Europa, dove qualche anno fa aveva fatto scalpore lo sbarco in Gran Bretagna del movimento statunitense Silver Ring Thing. Anche qui, al centro di tutto c’è una promessa di purezza simboleggiata però non da un ballo e una promessa ma da un anello d’argento.
«Niente anelli, noi abbiamo deciso di puntare su una targhetta militare. Perché quella di praticare la castità fino alle nozze è una scelta da veri guerrieri», sorride Stefania Spezzacatena. 31 anni, originaria di Bari, vive e lavora a Milano da anni: qui ha conosciuto il marito Giuseppe Punto (32 anni, di Crotone) e con lui ha prima aderito alla chiesa pentecostale Ministero Sabaoth e poi ha fondato il movimento Purex. Il gruppo, che sostiene la scelta di restare casti fino alle nozze, è nato nel 2011. Oggi ai loro incontri in tutta Italia partecipano centinaia di persone (e i due, che sono anche pastori, hanno ricevuto inviti anche da comunità tedesche e svizzere).
«Ai nostri incontri partecipano soprattutto membri della chiesa pentecostale ma ci sono anche cattolici e tanti curiosi – racconta Spezzacatena – Purex è una voce fuori dal coro: tanti si avvicinano perché cercano persone con idee chiare, stabili e coerenti. E anche perché spesso è stato detto loro che non dovevano fare sesso prima della nozze ma senza mai spiegare perché». Spezzacatena e Punto invece lo spiegano («perché il sesso è il dono di nozze di Dio alla coppia») e spiegano anche tante altre cose, da come affrontare l’intimità di coppia a come trovare la persona giusta, da quando è il momento giusto per sposarsi a come far accettare al partner la scelta di purezza.
Anche a come spiegarla a chi non ne ha mai sentito parlare. Oltre alle conferenze in tutta Italia Purex ha un blog, è molto attivo sui social con account dedicati e di recente ha collaborato con una band di rock cristiano per realizzare un video sull’importanza della castità prima delle nozze.
Difficile, in fin dei conti, oppure no? «Rinunciare al sesso prima delle nozze è una scelta folle e frustrante se non c’è fede. Non siamo bigotti: vogliamo solo riportare la sessualità allo stato puro, insegnando il valore del corpo. E niente paura: se ci si ama davvero a letto funzionerà per forza, anche se ci si “conosce” solo dopo il matrimonio», conclude la giovane.