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 2016  marzo 13 Domenica calendario

Scontri a Chicago, Trump annulla il suo comizio e se la prende con Sanders: «Tutta colpa dei fan di quel comunista»

Donald Trump non cambia registro: niente autocritica per gli incidenti di venerdì a Chicago. Anzi subito un astioso contrattacco: «I contestatori? Vengono dallo schieramento che appoggia Bernie Sanders». 
L’altra sera Trump ha dovuto annullare il comizio nell’Università dell’Illinois, a Chicago appunto. Per la prima volta si è trovato di fronte una protesta numerosa e organizzata. Centinaia di manifestanti fuori il «Pavillon», mentre diverse decine di attivisti, quasi tutti giovani, sono riusciti a entrare nel palazzetto dove circa 8-9 mila fan aspettavano il leader. Slogan, insulti da una parte all’altra. Spintoni, qualche scazzottata. La polizia ha faticato parecchio per sedare la rissa. Incidenti anche all’esterno. Bilancio fornito dalle forze dell’ordine: 2 agenti feriti, cinque arresti e, fatto inedito in questa campagna, raduno cancellato. 
La polemica è forte. Tutti accusano Trump di fomentare «un clima tossico», per dirla con le parole del suo contendente repubblicano, John Kasich. Hillary Clinton è stata ancora più dura: «Chi gioca con i fiammiferi, prima o poi accende un fuoco, non è un leader». 
Ma il miliardario newyorkese non si è fatto impressionare. Ieri mattina alle 10.30 si è presentato, come previsto, al Wright Airport, di Dayton nell’Ohio. È sceso dal suo jet privato, 50 metri per raggiungere il podio, 5 minuti per rispondere ruvidamente: «A Chicago ho scelto di annullare un grande appuntamento: non volevo che nessuno si facesse male. Abbiamo subito un’aggressione organizzata in modo professionale. Avete visto i volantini stampati?» 
Poi un sceglie un bersaglio e pesca Bernie Sanders, il candidato democratico che lo aveva invitato a tenere a bada i suoi sostenitori. «La gente che viene a sentirmi è pacifica. Sono stati i supporter del nostro amico comunista Sanders a disturbarci. C’era anche qualche tifoso di Hillary. Ma sapete, negli incontri con Hillary non c’è il calore, l’entusiasmo che c’è da noi». Finale con il brivido: un rumore spaventa Trump, accorrono le guardie del corpo. Falso allarme. Il tycoon risale sul suo jet e qualche ora dopo ripete le stesse cose a Cleveland. Qualche contestazione isolata, niente di paragonabile a quello che è accaduto a Chicago. 
Martedì 15 marzo si vota per un turno cruciale, forse decisivo per le primarie dei repubblicani: Illinois, Missouri, North Carolina e, soprattutto, Ohio e Florida. Ma ora il rischio è che il veleno distillato in sei-sette mesi di competizione possa entrare in circolazione nel corpo dell’opinione pubblica. 
Il problema vero è lui, è Trump. Su questo punto convergono tutti: oltre a Clinton e Sanders, anche i repubblicani Marco Rubio, Ted Cruz, Kasich, nonché giornali e siti pressoché al completo. Il linguaggio è parte integrante del suo profilo anti conformista. Ma l’outsider si è spinto oltre, in modo politicamente infantile. Visto a posteriori forse il punto di rottura risale al 22 febbraio scorso: Las Vegas, Nevada. Auditorium, strapieno, del casinò «South Point Arena». Quella sera, pensando di parlare al bar e non in diretta televisiva, disse: «Sì portatelo fuori quello lì. Io gli darei anche un pugno in faccia». Il 9 marzo, in un comizio nel North Carolina, un anziano cretino con il cappellone da cow boy ha raccolto l’invito, mollando una sventola a un giovane disturbatore afroamericano. 
A Chicago, però, si è visto un altro fatto nuovo. La protesta è maturata su Facebook, con diecimila firme raccolte in poco tempo dalle reti giovanili e degli afroamericani. Adesso bisognerà vedere se quello di venerdì è stato un episodio irrepetibile oppure se sta nascendo una specie di «Occupy Trump», un movimento per sabotare sistematicamente la campagna del favorito.