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 2016  marzo 13 Domenica calendario

Giacomo Gianniotti, dalla Garbatella a Grey’s Anatomy

A Roma, quando provava ad infilarsi ai provini, gli dicevano che sembrava troppo americano o che aveva un accento troppo romano. In America l’origine italiana e l’aspetto mediterraneo del 26enne Giacomo Gianniotti hanno invece conquistato Shonda Rhimes, la potentissima creatrice di Grey’s Anatomy, serie tv di successo mondiale, che fa otto milioni di telespettatori ad episodio. Nato alla Garbatella, da padre romano e madre canadese, Giacomo è apparso sul finale dell’undicesima stagione nei panni del fascinoso dottor Andrew De Luca, e pensava fosse finita lì. Finché non è stato richiamato, promosso a personaggio stabile della dodicesima stagione che parte domani alle 21.00 su FoxLife, a un mese dalla messa in onda americana. Il primo episodio del medical drama è eccezionalmente diretto da Denzel Washington, e Gianniotti si è già guadagnato l’attenzione delle riviste più importanti, da Variety a Hollywood Reporter.
Dalla Garbatella a Hollywood: una storia da fiction.
«È andata proprio così. Sono nato in quel quartiere, a sei anni ci siamo trasferiti in Canada, ma tornavo ogni estate. Tutta la famiglia di mio padre è qui e lui voleva che non perdessi i contatti e le abitudini. A dieci anni feci un piccolo ruolo nel film di Giulio BaseLa bomba, poi basta».
Finito il liceo, tornò in Italia per trovare fortuna. Come le è venuto in mente?
«Avevo tanta voglia di recitare in italiano. La sera lavoravo alla concierge di un albergo, la mattina andavo a cercare lavoretti d’attore. Non avevo nemmeno un agente. Giravo sui set, chiedevo se serviva qualcosa, mi infilavo dove potevo. Dopo due anni di niente, comprai un biglietto per tornare in Canada. A quel punto mi chiamarono per una particina, non da dottore, nella fiction Medicina Generale. Accettai ma decisi di tornare a casa, dove mi misi a studiare teatro».
L’interesse per il teatro però nasce a Roma. 
«Da bambino mio padre mi portava a vedere le marionette al laghetto dell’Eur, dove dei ragazzi mettevano su gli spettacoli, non chiedevano niente, i genitori gli lasciavano qualche spicciolo. Ci andavo pazzo. Tornavo a casa e creavo le mie storie per imitarli. Lì iniziò la mia passione per la recitazione».
Come ha festeggiato la promozione del suo personaggio in “Grey’s Anatomy” ?
«A Los Angeles con amici. Sono superstizioso, ma almeno un bicchiere all’aria l’ho tirato».
Ha contato il fascino italiano?
«Non sono io a doverlo dire. La mia fortuna è essere perfettamente bilingue, senza accenti particolari. Hanno visto qualcosa in me e hanno deciso di tenermi. Fin dove e quando sarà interessante scoprirlo».
Si parla di un contratto di sei anni.
«Quest’anno sicuro, poi c’è l’opzione per gli altri a venire. Non è garantito che mi tengano tanto a lungo. Il mio personaggio è nuovo, crescerà nel tempo e non sarà il sostituto di Derek, come qualcuno temeva. Ho ricevuto tweet in cui intimavano “Stai lontano da Meredith"».
La riconoscono per strada?
«In Italia più che in America. Ero alla settimana della moda milanese una mese fa e tutti mi fermavano. Non me lo aspettavo».
Denzel Washington gira il primo episodio di questa stagione. Che incontro è stato? 
«Aspettavo con ansia di presentarmi ma è capitato nel modo più imbarazzante. Stavo nella sala da pranzo, avevo le mani piene di roba e una banana in bocca, per tenere aperta la porta. Da quelle porta è entrato lui. Mi ha trovato così, con una banana in bocca che biascicavo il mio nome. Si è messo a ridere».
Ha dovuto assistere ad operazioni vere?
«Sì, ho seguito un intervento al cuore durato sette ore, in ospedale. Temevo di svenire, invece la paura è diventata curiosità. Inoltre sul set abbiamo accanto un chirurgo che ci spiega tutto, dai movimenti da fare alla terminologia da usare. È una cosa molto seria».
Com’è una tipica giornata sul set? 
«Mi sveglio presto e cammino per le montagne di fronte casa, per tenermi in forma. Vado al lavoro: trucco, capelli e tanta attesa. In una giornata piena lavoriamo anche 15 ore, con molte pause. Se non sono in scena, vado a imparare dagli altri».
Torna spesso a Roma?
«Una volta l’anno, i parenti si sono spostati ai castelli, ma io vado lo stesso a passeggiare per le strade antiche e all’aperto. In Canada fa molto freddo e si vive più all’interno. Si vedono più fast food che monumenti».
Con chi le piacerebbe lavorare in Italia? 
«Stefano Sollima tra i registi. Benigni tra gli attori». 
È anche musicista? 
«Suono e scrivo, sto preparando un Ep da pubblicare il prossimo anno. Genere Jack Johnson, un folk-rock allegro, da chitarra sotto la palma».
Tifa Roma, Totti. Come le vede le partite lì, dove tutti seguono il baseball? 
«Totti è un grande, gli dobbiamo molto ed è un buon modello per Roma. Con il fuso orario non riesco a vedere il campionato, seguo i gol su internet. Ma quando coincidono gli orari, mi faccio mettere le partite in camerino e invito gli altri a vederle con me. Sto educando tutto lo staff».