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 2016  marzo 14 Lunedì calendario

Le tasse che sono cresciute in tempo di crisi: accise, patrimoniali e immobili

Non servono le statistiche per dire che le tasse in Italia sono alte. Qualsiasi operatore economico lo sa e qualsiasi comune cittadino lo percepisce. I numeri, però, permettono di capire quali tributi sono aumentati di più nel corso degli anni, e quali sono diminuiti – per davvero – senza farsi ingannare dalle apparenze.
Partiamo da un caso che potrebbe sembrare marginale (ma non lo è): le accise sui carburanti. Secondo i dati sulle entrate tributarie pubblicati dalle Finanze, tra il 2006 e il 2015 gli introiti dello Stato sono aumentati dell’1,5% in termini reali (cioè ripulendo i numeri dall’effetto deformante dell’inflazione). Sembrerebbe un rincaro modesto, soprattutto se spalmato su un decennio. Nello stesso arco di tempo, però, il Prodotto interno lordo ha perso l’8,2 per cento.
In pratica, il prelievo su diesel e benzina si è dimostrato “rigido” rispetto all’andamento dell’economia reale. Tutto l’opposto dell’Iva, che è diminuita del 10,2% nonostante i due ritocchi dell’aliquota ordinaria, portata prima al 21% (il 17 settembre 2011) e poi al 22% (il 1° ottobre 2013). Anzi, il calo dell’Iva sarebbe stato molto più forte se non ci fossero stati i 7,2 miliardi versati dalle pubbliche amministrazioni l’anno scorso grazie al meccanismo dello split payment, anche se ora resta da capire come finirà la partita dei rimborsi.
D’altra parte, l’Iva – per la sua stessa natura – rispecchia la spesa delle famiglie. E ha avuto un andamento tutto sommato simile ad altri tributi legati ai consumi o più in generale agli affari. Non è difficile vedere gli effetti della crisi dietro il calo degli introiti derivanti dalle imposte su birra e alcolici (-4,2%) o su sigarette e tabacchi (-5,9%). Stesso discorso per l’imposta di registro (-30,2%), il cui gettito è sceso di pari passo con il mercato immobiliare – dimezzato rispetto ai livelli di dieci anni fa – salvo riprendersi leggermente negli ultimi due anni insieme alle compravendite di abitazioni e altri fabbricati. Insomma, in tutti questi casi la contrazione degli incassi per l’Erario non è stata il frutto di una riduzione della pressione fiscale, ma di un calo della spesa delle famiglie.
Le patrimoniali
Nel bel mezzo della crisi, e con l’urgenza di ingrossare i flussi in entrata per far quadrare i conti pubblici, i Governi dal 2011 in poi hanno puntato su due leve: l’aumento dei tributi di tipo patrimoniale e la “delega” a Comuni e Regioni, che fino all’anno scorso hanno potuto alzare le aliquote.
Si spiega così il rincaro della tassazione su interessi, redditi di capitale e plusvalenze (+19,7%). Un rincaro su cui pesa soprattutto l’incremento dal 20 al 26% della sostitutiva, scattato il 1° luglio 2013, e al quale non è estraneo l’aumento del gettito dell’imposta di bollo, che si applica tra l’altro sui conti correnti.
Sul fronte dei tributi locali, invece, si possono citare gli esempi delle addizionali all’Irpef – regionale e comunale – ma, soprattutto, il caso delle imposte immobiliari nelle loro diverse denominazioni di Ici, Imu e Tasi, il cui peso è quasi raddoppiato fino ai 25 miliardi di euro del 2015. È proprio su questi tributi che si incrociano le due leve citate in precedenza: imposte patrimoniali e tributi affidati ai Comuni. Ed è proprio su questi tributi che si farà sentire quest’anno lo stop agli aumenti deciso dal Governo con la legge di Stabilità 2016 dopo quattro anni consecutivi di rincari.
Il prelievo sui redditi
Tra tanti rincari, qualche “vera” riduzione d’imposta c’è stata. Una è la cedolare secca sugli affitti, rispetto alla quale il balzo del gettito – triplicato rispetto al 2011– è un dato positivo. Di fatto, si tratta di una flat tax che sostituisce la più cara Irpef e le addizionali.
Le altre due “grandi imposte” a essere diminuite sono l’Irap (-34,7%) e l’Ires (-26,8%). Ma qui le riduzioni sono il frutto sia di modifiche normative che hanno variato il perimetro e le regole applicative dei tributi, sia dell’impatto della crisi sui conti aziendali.
L’Irpef, invece, è rincarata del 5,3% nel periodo 2006-2015. Sull’aumento di 12,5 miliardi registrato l’anno scorso pesano le diverse modalità di compensazione dei rimborsi da assistenza fiscale effettuati dai sostituti d’imposta, introdotte dal Dlgs 175/2014 (il decreto semplificazioni attuativo della delega fiscale), ma anche escludendo questo effetto l’incremento annuo è di 7,9 miliardi (+1,9%). D’altra parte, per l’Irpef non possono essere dimenticati gli effetti positivi del bonus da 80 euro mensili introdotto a metà 2014, che ha influito sulle ritenute versate per 1,4 miliardi.