CorrierEconomia, 14 marzo 2016
Wall Street teme la crisi del settimo anno
Wall Street la settimana scorsa ha celebrato sette anni da quando, il 9 marzo 2009, il Toro ha cominciato a spingere all’insù la Borsa americana. Ma subito dopo il Toro è inciampato, aumentando l’ansia degli investitori che si chiedono se non sia imminente l’arrivo dell’Orso, cioè un crollo del 20% e oltre delle quotazioni azionarie (viceversa una fase Toro è definita come rialzo del 20% e oltre).
Dibattiti
Il fronte dei pessimisti sostiene che le azioni sono arrivate a valutazioni troppo care. Ma non sembra di questo avviso Robert Shiller, il premio Nobel per l’Economia famoso per aver suonato l’allarme sulla Bolla di Internet ben prima del suo scoppio nel 2000 e su quella immobiliare scoppiata nel 2007. In una conversazione tenuta al Council on foreign relations di New York, Shiller ha spiegato che oggi, secondo lui, le valutazioni raggiunte non rendono la Borsa americana un investimento particolarmente allettante. «Ma Wall Street non è nemmeno da evitare completamente», ha aggiunto.
Il parametro che Shiller considera il più affidabile per capire se la Borsa è sopravvalutata è il «cyclically adjusted price-earnings ratio» (Cape) ovvero il prezzo delle azioni diviso per la media degli ultimi dieci anni dei profitti aziendali. L’aveva elaborato alla fine degli Anni Ottanta insieme al collega John Campbell (che adesso insegna ad Harvard) sulla base dei dati della Borsa americana dal 1871 a oggi. «L’andamento degli indici di Wall Street – osserva Shiller – sembra davvero una random walk (il titolo del bestseller di Burton Malkiel, ndr). È la passeggiata a casaccio di un ubriaco, così ubriaco che ogni suo passo è indipendente dal successivo. Ma l’ubriaco ha una caviglia legata con l’elastico a un lampione, che quando si allontana troppo lo riporta a una distanza media».
La media storica del Cape è fra 15 e 16. Oggi il suo livello è attorno a 25, quindi alto, ma non come durante la Bolla di inizio Internet, quando era arrivato a 44. Solo altre due volte il Cape è stato più caro di adesso: nel 1929 (32,4), prima della Grande Depressione e nel 2007 (27), prima della Grande Recessione. «Il valore del Cape non fa prevedere cambiamenti degli indici azionari a breve – avverte Shiller —, ma segnala le variazioni a lungo termine, nei prossimi cinque-dieci anni. Dall’attuale livello del Cape possiamo dedurre che non dobbiamo aspettarci un rendimento dalle azioni americane in linea con la media storia del 7% l’anno. È probabile che avremo rendimenti annui solo del 3-4%, comunque meglio di quanto offrono altri investimenti, in particolare quelli obbligazionari, in cambio però di una maggior quota di rischio. Credo che solo se il Cape arriva oltre 30 avremo performance azionarie negative».
I precedenti
A proposito di performance negative, è interessante notare che questi sette anni di Toro a Wall Street non sono stati tutti veramente di rialzo. Il primo anno il rimbalzo è stato notevole, +68,6%, ma l’ultimo anno in realtà ha chiuso con una perdita del 4,8% dell’indice S&P 500. In tutto la rivalutazione dai minimi del 9 marzo 2009 è stata del 194%, la quinta fra le migliori fasi Toro della storia, dopo il 417% di quella iniziata l’11 ottobre 1990 e durata quasi dieci anni; il 324% di quella partita l’1 giugno 1932; il 266% del Toro scatenato il 14 giugno 1949 e il 228% del rialzo avviato il 12 agosto 1982.
Altra caratteristica di questo Toro un po’ zoppicante – e mai davvero amato dai risparmiatori come mostrano i flussi dei loro investimenti nei fondi comuni – è che oltre 200 delle 500 azioni componenti dell’indice S&P 500 sono già in territorio Orso, cioè hanno perso più del 20% dai massimi che avevano raggiunto nel 2015. Lo stesso indice è circa il 7% inferiore al massimo storico toccato il 21 maggio dell’anno scorso.
Da Wall Street al mattone, anche sul mercato immobiliare americano Shiller non vede oggi gonfiarsi una bolla. «I prezzi sono crollati del 50% dai massimi del 2006», ricorda l’economista, che quasi 30 anni fa insieme a Karl Case del Wellesley College aveva creato un indice sui prezzi delle case, oggi diventato l’S&P/Case Shiller Home Price Index, comprensivo di 20 aree metropolitane. «L’indice ha ripreso a salire, ma negli ultimi mesi è rimasto piatto ed è ancora a livelli inferiori rispetto a dieci anni fa – spiega Shiller —. Comunque è difficile individuare i segnali di un bolla. Nel 2005 il settimanale The Economist aveva pubblicato una copertina sui prezzi del mattone saliti troppo e sull’orlo di un crollo. Poi sono usciti parecchi articoli sulle follie di chi investiva in case per rivenderle subito e guadagnarci: erano le storie raccontate anche nel film The Big Short (La grande scommessa). Oggi non vedo nulla di simile».