il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2016
Sesso, amori omosessuali e amanti di copertura. Ecco cosa c’è nei libri perduti
Ogni volta che mi sono imbattuto in un libro perduto, ho provato la stessa sensazione che mi prendeva leggendo da piccolo certi romanzi che parlavano di giardini segreti, teleferiche misteriose, castelli abbandonati: l’occasione di una ricerca, il fascino di ciò che sfugge e la speranza di essere l’eroe capace di risolvere il mistero”. Nella prefazione Giorgio van Straten – scrittore, traduttore, oggi direttore dell’Istituto italiano di cultura a New York – racconta così lo stato d’animo di un raffinato detective letterario. E davvero questo libro è un’avventura che evoca quella gioia assoluta, irripetibile, che solo i romanzi – specie negli anni della scoperta – sanno dare. Secondo molti, i “libri che parlano di libri” sono un genere a sè; riservato a pochi, una sorta di perversione, quasi una parafilia. Invece in questi racconti ci sono otto storie che sono tutte un romanzo nel romanzo (a volte un racconto nel racconto). Il titolo – Storie di libri perduti, appunto – non deve trarre in inganno.
Non si tratta semplicemente di libri smarriti: “Sono quelli che l’autore ha scritto, che qualcuno ha visto, magari ha anche letto, e che poi sono stati distrutti o dei quali non si è saputo più niente (…) I libri perduti hanno qualcosa che tutti gli altri non possiedono: lasciano a noi non lettori la possibilità di immaginarli, di raccontarli, di reinventarli. E se da un lato continuano a sfuggirci, dall’altro riprendono vita dentro di noi e alla fine, come il tempo proustiano, possiamo dire di averli ritrovati”. Per non rovinare le (tante) sorprese, vi racconteremo per sommi capi soltanto un capitolo. Il libro perduto in questione è l’autobiografia di George Byron, celebre poeta e scandalosissimo lord dell’Ottocento inglese. Morì in Grecia a soli 36 anni ma, racconta van Straten, all’epoca della dipartita era lontanissimo dall’immagine di splendido seduttore che i ritratti della giovinezza ci hanno tramandato. La nostra storia inizia (e letteralmente in fumo finisce) in Albemarle Street, nell’ufficio dell’editore del defunto, John Murray I: con lui ci sono John Cam Hobhouse (amico del poeta dai tempi di Cambridge e suo esecutore testamentario), la sorellastra Augusta Leigh (parente più prossima ed ex amante), l’amico e poeta Thomas Moore e pochi altri.
Ognuno dei presenti ha un ruolo nella sparizione delle Memorie, scritte da Byron in due momenti (tra il 1817-18 e poi tra ‘20 e il ‘21) dietro il compenso di 2mila sterline. Augusta e Hobhouse sono determinati a far sparire il manoscritto, disposti anche rifondere l’editore dell’anticipo versato; non è per nulla convinto Thomas Moore, tanto che la lite con Hobhouse finisce quasi a mani: e però anche lui alla fine cederà in cambio della possibilità di scrivere la biografia dell’amico (che uscirà nel 1830). Che cosa c’era di tanto irriferibile nel mémoire byroniano? Il sesso naturalmente, gli amori – specie quelli omosessuali – ma anche i matrimoni di copertura e perfino le amanti di copertura…