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 2016  marzo 14 Lunedì calendario

Il pasticcio delle spiagge italiane

Il governo bocciato in Europa. Non è né la prima né – probabilmente – l’ultima volta che accade. Ma questa volta il problema è molto più ampio e rischia di coinvolgere qualcosa come 80 mila imprese del turismo italiano, quell’industria che, un giorno sì e l’altro pure, il governo di turno sbandiera come spauracchio di una presunta ripresa economica. Perché l’Italia è bella, meravigliosa, certo, e se la Fiat diventa Fca e vola all’estero, il mare ce lo teniamo stretto. Ecco, da oggi non è più così. Così arriviamo al paradosso: il resto d’Europa un minimo di ripresa lo ha agganciato, ci sono Paesi che hanno Pil con un segno più 3 per cento, e l’Italia dei decimali manco può più contare sulle imprese che erano un prodotto tutto Made in Italy. E non parliamo di una questione di poco conto: in ballo ci sono 300 mila posti di lavoro.
Il grande pasticcio
Ma un pasticcio c’è stato. È la legge di fine 2012 con cui l’Italia ha prorogato fino al 2020 le concessioni delle spiagge in mano ai balneari è contraria al diritto europeo. Questa la conclusione dell’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea Maciej Szpunar sulla causa in corso a Lussemburgo, che coinvolge gestori sardi e la Promoimpresa del lago di Garda, ma che inevitabilmente ricade su tutti. Le conclusioni dell’avvocato generale non sono vincolanti, ma generalmente – sarebbe la prima volta che non avviene – sono riprese nella sentenza che sarà emessa dalla Corte tra aprile e maggio.
L’avvocato generale della Corte ricorda che con vari decreti legge emessi dal 2009 al 2012 e convertiti in legge, lo Stato italiano ha previsto la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative dapprima fino al 31 dicembre 2015 e poi fino al 31 dicembre 2020. Alcuni gestori di attività in aree demaniali marittime negli anni passati avevano aperto contenziosi davanti ai Tar della Sardegna e della Lombardia proprio a proposito di contestazioni relative al rilascio e al rinnovo delle concessioni.
Successivamente sia il Tar Sardegna sia quello della Lombardia hanno sollevato una questione pregiudiziale alla Corte Ue sulla legge italiana, approvata dal Parlamento nel 2012, che prevede la proroga automatica e generalizzata della durata delle concessioni sino al 31 dicembre 2020. Chiedendo di verificarne la compatibilità con il diritto comunitario e soprattutto con i principi di libertà di stabilimento, di protezione della concorrenza e di eguaglianza di trattamento tra operatori economici, nonché con quelli di proporzionalità e di ragionevolezza.
Bocciati dai giudici
I giudici italiani, secondo quanto si legge in una nota della Corte, hanno espresso in particolare dubbi sull’automatismo della proroga poiché in questo modo si sottraggono al mercato, per un periodo irragionevolmente lungo (undici anni), delle concessioni di beni sicuramente molto importanti sul piano economico. Soluzioni alternative non ce ne sono: le concessioni per gli stabilimenti balneari finiranno all’asta, come la legge Bolkestein vuole. E siamo alle solite: l’Italia, il governo Renzi, ma anche quello guidato prima da Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, dovevano battere i pugni sul tavolo prima che l’Europa la facesse propria. Adesso non resta che adeguarsi.
Ma qualche difetto la direttiva eruroèpa c’e l’ha e i motivi per opporsi ci sarebbero stati. La “direttiva servizi” (meglio conosciuta come direttiva Bolkestein, dal nome del commissario olandese che la elaborò) è una normativa europea molto chiara e passata perché intende vuole tutelare la libera concorrenza e la possibilità di ogni impresa e cittadino dell’Unione di poter lavorare in tutto il territorio europeo. Fra le tante previsioni contenute nel testo, quella che porta all’assegnazione delle concessioni demaniali con una procedura pubblica e trasparente. Per questo l’Italia (come tutti gli altri paesi europei) è obbligata a mettere periodicamente “all’asta” le concessioni, facendo così cadere il rinnovo automatico attualmente in vigore. Proprio la mancata applicazione della direttiva (che avrebbe dovuto partire, in un primo tempo, proprio dal 2011) ha causato al nostro paese l’apertura di una procedura di infrazione.
Un colpo al cuore del turismo, industria porincipale del Belpaese. Nonostante le presenze in spiaggia degli italiani – secondo i calcoli del Sib, il sindacato che raggruppa i gestori di stabilimenti balneari – in 6 anni sono crollate del 41%: dai 241.759.000 del 2008 ai 140.612.000 dello scorso anno. Ma il mare si conferma la prima destinazione turistica italiana con il 30% delle presenze complessive e un trend in costante crescita per il turismo straniero (più 13% dal 2008). Se l’Italia dovesse lasciare il passo e aprire alla concorrenza europea ovvio che ci sarebbero ripercussioni.
C’è da dire che, nel corso degli anni, sui questa situazione qualcuno ci ha marciato troppo. Forse l’Italia doveva avere una legge che inquadrasse meglio il settore così da non farsi trovare impreparati e travolgere dalla direttiva europea. Invece è successo che le spiagge sono state tramandate di famiglia in famiglia, sempre in mano ai soliti noti, che hanno fatto il mercato a loro immagine e somiglianza in modo davvero da guadagnare, soprattutto in alcune zone, l’impossibile.
L’accesso al mare
Non solo: i gestori degli stabilimenti non hanno mai pensato di lasciare libero l’accesso alle spiagge, come la legge ha sempre voluto. Alla porta bisognava pagare un biglietto. La scorsa estate è accaduto addirittura, in diverse località, Ostia compresa, che dovessero intervenire le forze dell’ordine. Perché la concessione riguarda riguarda solo una parte: l’accesso al mare dovrebbe essere garantito a tutti. Invece negli anni i gestori degli stabilimenti hanno fatto come hanno voluto loro: se vuoi entrare paghi il biglietto, altrimenti c’è la spiaggia libvera. Eppure in questo caso c’è una legge (italiana) che garantisce a tutti di poter raggiungere la battigia. Certo, chi entra non può usufruire dei servizi, ma il mare è dittui.
Invece hanno fatto sempre come hanno voluto: non solo le concessioni tramandate come se fosse un affare di famiglia, ma l’accesso al mare negato. Perché in Italia le leggi ci sono, anche tante, troppe secondo qualche forza politica, ma non tutti le rispettano. Se ne sono approfittate e oggi rischiano di pagare il prezzo più alto. Per loro e per l’intera economia italiana che perde un pezzo storico e fondamentale.