la Repubblica, 14 marzo 2016
Perché l’Italrugby non vuole mollare
Sabato a Cardiff sarà un altro Cucchiaio di Legno. Che vergogna. Alfredo Gavazzi, il presidente Fir, tira un lungo – imbarazzato sospiro.
Ma vale la pena continuare con questa storia del Sei Nazioni?
«Ci vuole pazienza. Abbiamo cominciato nel Duemila, le altre hanno 150 di storia alle spalle. E poi, rispetto ai mondiali d’autunno il nostro gap è diminuito: in questo torneo potevamo vincere in Francia, non siamo stati inferiori alla Scozia, abbiamo retto quasi un’ora con l’Inghilterra. Sabato è andata male, è vero: ma è nei momenti più duri, che il gruppo deve imparare a crescere».
Pazienza? La Fir gestisce il secondo bilancio dello sport italiano, 45 milioni e passa. I risultati? Imbarazzanti.
«Da qualche stagione stiamo lavorando bene a livello giovanile, le nostre U17 e U18 fanno progressi. La World Rugby ci ha fatto i complimenti per le 10 Accademie e i centri di formazione. Il progetto c’è: tra 2 o 3 anni saremo competitivi. E il mese prossimo la Nazionale avrà un nuovo allenatore».
L’irlandese Conor O’Shea, dicono. Lo ha incontrato qui a Dublino?
«No. Perché non sarà lui, il prossimo tecnico azzurro. Avrete tutti una sorpresa, ma prima, mi preme ringraziare Brunel».
Il ct si è lamentato della poca collaborazione avuta dalle franchigie. La solita Italia dei Comuni.
«Qualche tempo fa tra la Federazione e Treviso erano solo dispetti. Ora lavoriamo insieme. Presto alle due franchigie affiancheremo altrettante Accademie giovanili».
E le Zebre di Parma? Pochi spettatori, quasi niente sponsor, il presidente che si è dimesso. È vero che vuole trasferirle d’imperio nella sua Calvisano?
«Vorrei restassero a Parma, che ha degli ottimi impianti. Milano sarebbe una piazza bellissima, però c’è il problema del terreno di gioco. Roma? Mancano le strutture. Una cosa è certa: le Zebre non andranno mai a Calvisano. Giuro».
Non resta che aggrapparsi a Parisse, 32 anni. I maligni dicono che la formazione azzurra la faccia lui.
«Bugie. Sergio è un campione straordinario e ci dà equilibrio, ci piacerebbe portarlo ai mondiali in Giappone, nel 2019».
Non dovevamo puntare sui giovani?
«Eccoli: Canna, Lovotti, Bellini. In questo Sei Nazioni hanno esordito in tantissimi, e altrettanti arriveranno. Presto».
Elezioni in autunno. Diego Dominguez s’è schierato contro.
«Lui pensa solo agli affari. Del rugby italiano non gli importa».
E se tra una settimana ci chiedono di uscire dal Sei Nazioni o “spareggiare” con Georgia o Romania?
«Sciocchezze. Ci siamo guadagnati il rispetto del rugby mondiale e un ruolo da protagonisti nelle organizzazioni che lo gestiscono. Calma, pazienza. Facciamo crescere i giovani, saremo alla pari dei migliori. Tra 2 o 3 anni».