la Repubblica, 14 marzo 2016
Vi ricordate di Domenech?
«Vuole la verità?». Le palpebre diventano due feritoie, nello sforzo di afferrare un ricordo, una sensazione. Poi si spalancano. «Non ci penso più. Da anni. Non ci ho mai pensato granché, anzi. Non mi sveglio di soprassalto pensando a Berlino. Quella fu la vostra notte, basta. C’est la vie. La vita è così, passa e va, non si ferma, non ha ripensamenti. Anche se, lo confesso, solo in un caso i ricordi mi assalgono, ma da sveglio. Quando guardo in tv Buffon, ripenso a quel braccio che sale, sale, e toglie dalla porta quel pallone.... Ma quanti anni ha Buffon,
parbleu?».
Appoggiati a una balaustra di legno affacciata su un campo di calcio deserto, lo stadio ancora vuoto, un’ora prima di Chelsea- Psg. Con Raymond Domenech. Siamo nella tribuna stampa più assurdamente scomoda, più claustrofobica ma anche più affascinante d’Europa, quella di Stamford Bridge, coi giornalisti imprigionati in seggiolini da scuola elementare, ma nessuno se ne lamenta troppo: si assiste alla partita tre metri dietro le panchine, insomma dentro il prato, più tardi ci arriveranno addosso sussurri e grida, profumi, afrori, e vento sollevato da atleti lanciati in corsa: «È la tribuna stampa più vicina al campo che esista al mondo. Sembra di stare in panchina…». Sembra, monsieur Raymond. Ora è cambiato tutto, no? «Faccio il giornalista, è più facile», e gli occhi sorridono dispettosi.
A quasi dieci anni dal 9 luglio 2006, Raymond Domenech è ancora nel calcio. Solo per parlarne. Seconda voce nelle radiocronache di Europe 1, commentatore tv per Ma Chaine Sport, qualche partecipazione al programma su D8 condotto da Estelle Denis, la sua compagna. Anche lei, quando Domenech era il ct più antipatico della storia di Francia, finì nel pentolone dell’odio, c’erano sospetti sulla loro unione, calunnie sanguinose. Tutto passa, si sa. Dieci anni dopo Raymond ed Estelle sono sempre insieme, hanno due figli, vivono finalmente a distanza di sicurezza dalle fiamme. «Mi diverte fare il giornalista. Se mi prendo rivincite e vendette? Ma no. Esprimo i miei giudizi, certo. Dico quel che penso, a volte faccio arrabbiare qualcuno, è normale. Mi piace ed è più facile che allenare. Ma non dica che la gente all’epoca mi odiava, non è vero. Mi odiava la stampa, perché non accettavo compromessi né inviti a cena, ero scorbutico ma onesto. E alcuni ex campioni del mondo del 1998, che si erano messi a fare i commentatori, mi attaccavano perché speravano che il loro titolo mondiale rimanesse l’unico…». Calciatore e nazionale francese negli anni ’70, poi per 17 tecnico federale, dalle nazionali giovanili fino alla prima squadra, guidata dal 2004 al 2010. E come gli ripetono i nemici, zero vittorie in 17 anni. Domenech ha perso finali, semifinali e quarti a Europei, Mondiali e Olimpiadi, sempre a un passo dalla gloria. Anche per questo non riuscì a guadagnarsi il rispetto di uno spogliatoio dalle personalità assai complicate, e che nel 2010, in Sudafrica, fu quel nido di serpenti a sonagli da cui scaturirono la frase di Anelka («Va te faire enculer, sale fils de pute») che l’Equipe sparò in prima pagina e l’ammutinamento di Knysna, con i giocatori che rifiutarono di allenarsi. Ma dopo l’eliminazione e l’esonero, Domenech vinse la causa contro la federcalcio francese per licenziamento senza giusta causa, ed ebbe riconosciuti i danni morali: intascò 1 milione tondo, poi uscì dalla porta e dal calcio giocato, forse per sempre, e di certe cose non parla più in pubblico.
Possibile però che non pensi alle dannate porte scorrevoli della vita, a cosa sarebbe accaduto se quella sera, a Berlino, Zidane non avesse rifilato la testata a Materazzi e se la Francia avesse vinto una finale che avrebbe meritato, e se la sua esistenza sarebbe cambiata? «Giocammo meglio noi. Sulla testata di Zidane s’è detto tutto, che ne parliamo a fare? Zidane è sempre stato un dio molto umano, non è un bravo ragazzo e per questo piace a tutti, a volte nella sua vita ha dimostrato di non sapersi controllare a dovere. Piuttosto, Buffon… Ma quanti anni ha?». Trentotto. E vuole giocare fino a 40. «Fa benissimo. Fu la sua parata sul colpo di testa di Zidane nel supplementare che decise tutto. Rivedo il suo braccio che arriva sul pallone, lo manda sopra la traversa... Meritava il Pallone d’oro lui, non certo Cannavaro. E dieci anni dopo è ancora qui, a grandi livelli, anche se ha avuto un paio d’anni di flessione, ma poi è tornato. Che campione». Il primo collegamento con la radio sta per iniziare, monsieur Raymond scatta un paio di selfie con due giovani tifosi, sorride. Un selfie anche con noi, Raymond? «Bien sur», e si mette in posa. Ma di Zidane sulla panchina del Real cosa pensa? Sospiro. «Allena la squadra più importante del mondo alla sua prima esperienza. Niente gavetta. Scusi, qual è stata la prima squadra allenata da Carlo Ancelotti?». La Reggiana. «Ecco, si è risposto da solo. Au revoir». Inizia il collegamento di Europe 1. Domenech infila la cuffia, aggiusta il microfono sotto il mento con gesti sicuri mentre il Psg inizia il riscaldamento. Laurent Blanc, che nel 2010 rilevò la nazionale da Domenech e andò male pure lui, ora allena il Psg: a bordo campo inizia a divorarsi le unghie per la tensione dell’ottavo di finale. Pochi metri più su, Raymond Domenech disquisisce leggero in diretta radiofonica sull’assenza di Verratti, che sarà un problema per il Psg. Sorride ancora. C’est la vie.