la Repubblica, 14 marzo 2016
Sulla falsa scienza, quella impossibile da verificare
Almeno la scienza sa correggere se stessa, si dice dopo la scoperta di una frode. Così è avvenuto dopo che un’équipe di chirurghi della Seconda università di Napoli ha falsificato l’esito di un intervento, scrivendo che il paziente (morto) stava bene. La rivista che ha pubblicato la descrizione dell’operazione – l’Inter-national Journal of Surgery Case Reports – dovrebbe ora procedere a ritrattare l’articolo.
Negli ultimi dieci anni le ritrattazioni nella scienza sono decuplicate, mentre il numero di articoli pubblicati è cresciuto del 44%. Colpa, in parte, dell’esplosione di riviste specializzate. L’editoria scientifica oggi ha le dimensioni di una piccola nazione: 10 miliardi di budget, 8 milioni di autori, 110mila dipendenti, 30mila riviste e 2,5 milioni di articoli ogni anno. Difficile che non spuntino mele marce.
«L’1-2% dei ricercatori ammette di essersi macchiato di condotta scorretta» commenta Cinzia Caporale, coordinatrice della commissione di etica della ricerca e di bioetica del Cnr. «Una percentuale così piccola non toglie nulla al valore della scienza. Ma visti i numeri in gioco, gli articoli scorretti finiscono per essere molti». Secondo un’analisi del 2011 di Nature, nel 44% delle ritrattazioni c’è uno scienziato colpevole di condotta scorretta (l’11% ha inventato o falsificato i dati, il 17% ha copiato se stesso, il 16% ha plagiato dati altrui).
Se l’ultimo decennio ha visto proliferare le immagini degli esperimenti truccati con Photoshop, la nuova frontiera oggi è quella dell’hackeraggio dei siti delle riviste. Tutte le testate più importanti, quando ricevono da uno scienziato la richiesta di pubblicare un articolo lo sottopongono alla valutazione di un team di esperti. Il metodo è chiamato
peer review o valutazione tra pari. Ma varie centinaia di articoli, negli ultimi tre anni, sono stati ritrattati perché accompagnati da recensioni false: inviate alle riviste dagli stessi autori che si erano impossessati di indirizzi mail e password dei loro recensori. Soprattutto in Cina, sono nate anche agenzie che si occupano di vendere agli scienziati articoli già pronti e recensioni (favorevoli ma non troppo per non dare eccessivamente nell’occhio). Nel 2014 un giornalista di lingua cinese ha raccontato su Scientific American la sua trattativa con l’agenzia MedChina per comprare un articolo a circa 15mila euro. In quel caso la rivista si era accorta dell’inganno e aveva respinto la pubblicazione.
Se le riviste più importanti possono contare su esperti anti- frode e software per smascherare gli inganni (capaci di pescare i plagi online o di riconoscere le immagini che hanno subito una manipolazione), la periferia del mondo dell’editoria scientifica è spesso ridotta a uno stato desolante. Gli atti dei convegni dai titoli più improbabili non sempre infatti si riferiscono a incontri reali. E per smascherare la fragilità del sistema, decine di scienziati negli ultimi dieci anni si sono divertiti a generare testi falsi al computer: testi poi approvati dalle riviste nonostante fossero privi di sintassi. I pionieri di questo tipo di burla furono nel 2005 tre studenti del Massachusetts Institute of Technology. I ragazzi ammisero poi di essersi divertiti moltissimo e misero online gratis il loro software Sci-Gen. Solo dieci anni più tardi la Springer, una delle case editrici più importanti, mise a punto il programma SciDetect per scovare i testi creati con SciGen.
«Chi pubblica di più supera i concorsi, ottiene finanziamenti e riesce a stringere collaborazioni internazionali prestigiose» spiega la Caporale. «Il sistema publish or perish è in vigore più che mai nella scienza. A parte le storture, è un bene che sia così» Il Cnr è stato il primo ente italiano a dotarsi di linee guida per l’integrità della ricerca e di un comitato ad hoc per il controllo.
Ma se è vero che la scienza sa correggere se stessa, non si capisce come mai le pubblicazioni ritrattate continuino a essere citate dopo la scoperta della truffa. «Spesso non si viene a sapere» spiega la Caporale. Ma lo scienziato coreano Hwang Woo-suk, scoperto nel 2005 a falsificare dati su clonazione umana e cellule staminali, ha visto nel frattempo diventare brevetto la sua scoperta ritrattata da Science, e ha aperto un lucroso centro di clonazione per cani.