Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2016
L’Irlanda cresce (parecchio) anche senza un governo
C’è qualcosa di paradossale nel dato di crescita dell’Irlanda comunicato ieri dall’Ufficio nazionale di statistica: +7,8% nel 2015, meglio di Cina e India, con l’ultimo trimestre dell’anno che ha registrato addirittura un +9,2% sullo stesso periodo del 2014. Il paradosso è che la certificazione di ritmi che non si registravano dai tempi della cosiddetta Tigre celtica (a cavallo tra gli anni 90 e 2000)?è arrivata nel giorno dell’insediamento del nuovo Parlamento uscito dalle elezioni del 26 febbraio:?quello, cioé, che sancisce la sconfitta subita dal governo uscente, che proprio sulla ripresa aveva scommesso per ottenere un nuovo mandato.
Il Fine Gael del premier Enda Kenny è infatti rimasto il partito di maggioranza relativa, ma ha ottenuto solo 50 seggi su 158, mentre i laburisti – partner nella precedente legislatura – sono scesi ad appena sette deputati. L’opposizione del Fianna Fail, al contrario, ha conquistato 44 seggi: non abbastanza, comunque, per coalizzare attorno a sè una maggioranza alternativa.
La chiave di lettura del voto data da molti analisti politici è che ampie fasce della popolazione ancora non sentono i benefici della ripresa, ma avvertono piuttosto gli effetti negativi dell’austerity con cui il governo ha risanato i conti, dopo il piano internazionale di aiuti da 67,5 miliardi seguito alla grave crisi finanziaria del 2007-2008. Gli elettori, in pratica, avrebbero”punito” il governo per un boom economico sbandierato in campagna elettorale («Continuate a sostenere la ripresa», era lo slogan), ma non ancora goduto e dovuto anche, se non soprattutto, alla presenza di numerose multinazionali.
Guardando più in dettaglio i dati di ieri si colgono in realtà alcuni elementi significativi per valutare la portata della ripresa. Si scopre per esempio che il prodotto nazionale lordo – calcolato sottraendo al Pil le attività delle multinazionali che generano redditi all’estero e dunque considerato una misura più veritiera dello stato di salute dell’economia – è cresciuto nel 2015 di un considerevole 5,7 per cento. Va inoltre sottolineato che a trainare la ripresa, insieme a un motore tradizionale come l’export, sono stati i consumi, che hanno registrato nel 2015 un incremento del 3,5%, a dimostrazione che la domanda interna è ripartita. In termini di settori, poi, l’industria manifatturiera segna un significativo +14,2% e cresce dell’8,8% il settore edilizia e costruzioni che però, in termini di peso sul Pil, rimane ai livelli del 1997: prima, cioè, della bolla immobiliare che causò poi il dissesto irlandese. Non a caso l’offerta di case, soprattutto popolari, è ben al di sotto della domanda, con Dublino che vive una vera e propria emergenza di senzatetto.
I segni di una ripresa concreta, anche se forse non ancora percepita, sembrano dunque esserci e anche le stime per il 2016 sono da primato in Europa, anche se inferiori al 2015. I rischi per la ritrovata Tigre celtica sono due. Il primo è lo stallo politico, simile a quello della Spagna, o l’instabilità se si dovesse formare un fragile governo di minoranza. Per uscirne servirebbe probabilmente la grande coalizione tra Fine Gael e Fianna Fail, due partiti centristi vicini come ideologia e programmi ma divisi da una rivalità storica, che affonda le sue radici nella posizione assunta nei confronti di Londra dopo la guerra di indipendenza. Entrambi finora l’hanno esclusa. Il secondo è il rischio Brexit:?le inevitabili ripercussioni di un’uscita dalla Ue della Gran Bretagna, mercato cruciale per l’export irlandese.