Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 11 Venerdì calendario

I morti di fama dell’isola trash

Ma perché? Perché Mediaset ha scelto questa strada dell’ispanizzazione (prodotti, format, personaggi, battute che arrivano da Madrid sono il sale del suo intrattenimento)? Perché bisogna andare così sul pecoreccio (Isla Desnuda, battute da trivio, ammiccamenti e doppi sensi a non finire) per conquistare un po’ di pubblico?
Perché rimpinzare la schiera di concorrenti di casi umani, tanto per esercitare un sadismo da quattro soldi? «L’isola dei famosi 2016» (Canale 5, mercoledì, 21.30) si presenta con Alessia Marcuzzi scosciatissima, Mara Venier con le scarpe in mano e Alfonso Signorini che si lamenta perché Alvin non è nudo. Naturalmente il piatto forte è la presenza sull’isola di Cayo Paloma di Simona Ventura: da conduttrice a concorrente, dal paradiso all’inferno. L’avranno pagata anche bene, le avranno offerto future prestazioni, ma SuperSimo rischia di toccare il punto più basso della sua carriera. Una carriera, secondo lei, che l’ha vista condurre «i più bei programmi della televisione italiana» (ma dove? ma quando?). Alla prima edizione dell’«Isola» avevo usato un’espressione che ha avuto molta fortuna, «morti di fama».
Qui siamo oltre: il livello dei partecipanti è tale che da studio si sentono in diritto di fare battute del tipo «Grazia, Graziella e grazie al…» o di indirizzare strali sulle finte tette delle concorrenti. La Marcuzzi è scatenata, Mara su di giri («Non è che sarà un trauma per loro spogliarsi. Le vedo molto aperte»), Enzo Salvi tratteggia per tutti l’universo dei cinepanettoni. Un vero peccato, perché la macchina organizzativa di Magnolia è possente e dal format si potrebbero ricavare spunti e occasioni di spettacolo degni di una rete ammiraglia.
Proprio non capisco questo precipitare verso il basso, questa euforia del capitombolo, questo mettersi nella condizione di naufraghi dell’audience. Una sola cosa mi è chiara: quando alla regia c’è Roberto Cenci il trash è assicurato.