Corriere della Sera, 11 marzo 2016
Il meldonio non cura il diabete. La buona fede della Sharapova vacilla
Il volto contrito della conferenza stampa di lunedì ha ceduto il passo agli ampi sorrisi esibiti ieri sulla spiaggia di Los Angeles, immortalati dai «vecchi cari paparazzi che mi seguono sempre». Maria Sharapova cambia faccia e non solo nelle fotografie. Sulla spiaggia è in short neri e top azzurro, impegnata in un match di racchettoni. Da Facebook arringa i suoi 15 milioni di seguaci: «Sono decisa a continuare a giocare a tennis e spero di avere la possibilità di farlo».
Lo stuolo di consulenti che non ha saputo spiegarle i rischi del famigerato mildronate – il principio attivo proibito rilevato nel controllo antidoping dell’Australian Open – prepara la strategia difensiva anche sul piano mediatico. Obiettivo: convincere opinione pubblica e tribunale antidoping federale (prima del Tas di Losanna) della buona fede dell’atleta. Sul piano legale la battaglia è ardua.
Guido Valori, professore di Diritto Sportivo alla Lumsa (Libera università degli studi), consulente del Coni ed ex procuratore antidoping: «Il meldonium è inserito nella classe S4 dei prodotti proibiti, ormoni e dei modulatori metabolici. Il Codice Wada è chiaro: 4 anni di squalifica già alla prima infrazione. Il tribunale internazionale del tennis, fino a oggi sempre rigoroso, ha le mani legate. La Sharapova è fortunata se se la cava con 2 anni». I buchi nella tesi difensiva sono tanti (tranne per la Head, l’industria di racchette che ha fatto un articolato comunicato per annunciare che continuerà a sponsorizzare la campionessa russa). Il meldonium non cura il diabete, di cui la Sharapova dice di essere malata in una fase iniziale. Gli unici a sostenerlo sono quattro ricercatori dell’Istituto Lituano di Ricerca Farmaceutica in tre articoli nemmeno tradotti in inglese, pubblicati su una rivista di secondo piano. Il sospetto che si tratti di ricerche (peraltro testate solo sui ratti) costruite per «spingere» le vendite del farmaco (che già fattura 70 milioni l’anno) è forte: nell’Istituto lavora Ivars Kalvin, l’inventore della molecola. La sostanza è proibita sia negli Usa che in Europa. La Sharapova dice di assumerla da dieci anni, ma la posologia prevede cicli di 4-6 settimane per due volte l’anno in chi ha problemi d’ischemia grave. Richiesto di spiegare se il farmaco veniva inserito nella lista di quelli assunti regolarmente (ogni atleta la compila prima del controllo antidoping e Maria ne ha subiti 5 in competizione e 8 fuori gara nel 2015), lo staff della tennista ha risposto con un eloquente no comment.
Come sperare nello sconto? Guido Valori: «Vedo pochi appigli. Gli avvocati potrebbero puntare sui dieci casi scoperti in tre mesi per cercare un alibi collettivo e accusare la Wada di aver pubblicizzato male il divieto. Provare a far valere un’autorizzazione all’uso terapeutico retrodatata o ipotizzare uno smaltimento tardivo da parte dell’organismo del farmaco assunto nel 2015, quando non era ancora vietato. L’ipotesi di sconto più realistica (e quindi improbabile) è una piena confessione sulla rete di fornitori del farmaco e sui motivi reali dell’assunzione che faccia far valere lo sconto destinato ai “pentiti”».