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 2016  marzo 10 Giovedì calendario

Maradona, Boniperti, Pertini e Gheddafi: ricordi di Claudio Gentile

Esce oggi «E sono stato Gentile», l’autobiografia del campione del mondo 1982, scritta con il giornalista Alberto Cerruti. Claudio Gentile, nato a Tripoli, è stato uno dei più grandi difensori italiani e ha vinto tutto con la Juve di Trap. Da Bearzot a Pertini, una carriera straordinaria.
Gentile, ricorda quando la chiamavano Gheddafi?
«Un incubo. Odiavo Gheddafi e dovevo accettare quel soprannome solo perché era un’azionista della Fiat. Caminiti, il giornalista che aveva avuto quell’idea, pensava di farmi un favore. Era un dispetto».
Anche perché era stato proprio Gheddafi, nel 1961, a cacciare gli italiani dalla Libia. Tra cui lei, bambino di otto anni.
«Quando non era Capo di Stato, Gheddafi era già un bel prepotente. Pascolava un gregge e i suoi animali entravano sempre nella proprietà di mia mamma. Lei gli urlava e lo cacciava. Gheddafi aveva una Fiat 124 e la portava a fare il tagliando in officina da mio zio: quando decise di mandarci via non ebbe compassione per nessuno».
Nel 2012 è finalmente rientrato in Libia e per poco non diventava il nuovo c.t.
«Sembrava il momento giusto per rinascere, ma avremmo giocato in Tunisia: a Tripoli era pericoloso. Bombardando Gheddafi, i francesi hanno commesso un errore: la Libia è diventata un caos, i gommoni hanno ripreso a partire verso l’Italia e l’Isis adesso è lì approfittando del vuoto di potere. Mia madre ha vissuto 35 anni a Tripoli e ancora piange quando sente il telegiornale».
Quanto varrebbe un difensore come Gentile oggi?
«Giocavo a destra e sinistra, mi schieravano anche mediano e ho indossato due volte la maglia 10: una a San Siro contro l’Inter, nel 1977-78, l’altra ad Aberdeen nelle coppe europee. Oggi sarei in vantaggio sugli altri perché ho imparato a marcare a uomo, nessuno lo fa più. E infatti quando ti ritrovi Messi sei finito. Questo non è accettabile: io lo affronterei come ho fatto con Maradona e Zico».
La scelta di Bearzot di affidarle le marcature di quei fenomeni è stata una bella sorpresa…
«Di Maradona me l’ha detto qualche giorno prima: “Te la senti?”. E io: “Qual è il problema?”. Poi mi sono detto: “Sono un deficiente!”. Non potevo tornare indietro e mi sono procurato le cassette di Diego. Di Zico me l’ha detto prima dell’inizio: “Ho cambiato idea, tu vai su Zico e Oriali su Eder”. Mi ero preparato su Eder tutti i giorni! Allora ho detto: “Se vuole, controllo tutti e due”».
Il Mundial, Bearzot e Pertini…
«Mai visto un presidente così. Venne negli spogliatoi, fece casino con noi, ci disse: “Non sapete cosa avete fatto per l’Italia”. Ora vogliono distruggere l’aereo con cui tornammo in Italia: andrebbe trasformato in un museo, ci sarebbe la fila».
Eppure gli osservatori non credevano troppo in lei.
«Il provino al Como era andato bene, ma abitavo a Brunate e non mi pagavano la funicolare. Allora Raffaele D’Angelo, il presidente del Maslianico portò me e altri tre giovani al Varese. Il club voleva solo quei tre, lui disse: “Prendete anche Gentile, il prezzo è lo stesso”».
Altre persone decisive?
«Il presidente federale Nizzola e gli juventini degli anni 50 e 60 che, quando arrivai in bianconero, mi avvisarono: “Metti da parte i soldi, non fare come noi che ce li siamo mangiati”».
La Juve era Boniperti e Trap.
«Strappare qualche lira in più a Boniperti era come vincere un Mondiale. Trap gestiva 16 giocatori per campionato, Coppa Italia, coppe europee e poi c’era la Nazionale. Nel 1977 abbiamo vinto la Uefa di mercoledì e domenica siamo andati a Genova, contro la Samp, per prenderci lo scudetto: sempre gli stessi 11. Oggi se una squadra non ne ha 30 si lamenta».
Giocatore e allenatore dell’Under 20 e dell’Under 21: successi in campo e delusioni umane.
«Ho preso la 21 in corsa e sono arrivato in semifinale all’Europeo. Nel 2004 ho vinto l’Europeo e conquistato il bronzo all’Olimpiade. Ma la federazione mi ha trattato in un modo che non capisco. E dopo non mi ha dato né il premio né il cavalierato: ci sono rimasto male».
Da bronzo olimpico a disoccupato: da 10 anni non allena.
«Nessuno sembra accorgersi di me, forse hanno paura di fare un dispetto a qualcuno importante. Tornerei ad allenare domani, in fondo nella Nazionale campione del mondo c’erano sei Under 21: non avevo lavorato male. Forse perché ho resistito a presidenti, direttori sportivi e federali che facevano pressioni per questo o quel giocatore. Non ho nessun rimpianto, semmai ce l’ha la Figc».