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 2016  marzo 10 Giovedì calendario

E Napolitano scalpita per mandare l’Italia in guerra

Sulla Libia sembra sia ancora tutto da decidere e il presidente emerito Napolitano ha sapientemente parafrasato la nostra osservazione sulla futilità di un governo che nella propria politica estera, di difesa e di sicurezza rinunciasse “per principio” ad avvalersi degli strumenti militari: “L’illusione che non ci sia nel futuro del nostro paese la possibilità d’interventi militari in un mondo in ebollizione” sarebbe un inganno.
Possiamo aggiungere che sarebbe l’ennesimo di un sistema zoppo in grado di vivere soltanto in una democrazia finta, dove gli obiettivi politici e strategici sono perseguiti con i trucchi economici, la manipolazione sociale, la corruzione, il nepotismo, l’attendismo e il servilismo. Sarebbe un sistema di governo in mano a cattivi consiglieri privi di qualsiasi idea su come tale strumento possa essere d’aiuto alla politica perfino a prescindere dal ricorso alla guerra.
Il presidente ha anche raccolto il nostro allarme sull’ipocrisia della “moderazione” dietro la quale si nasconde l’incapacità politica e strategica. Inoltre, ha assestato un bel colpo al “pacifismo di vecchissimo stampo”.
Tuttavia, quello evocato in Parlamento non è il pacifismo del “meglio rossi che morti”, di cui il presidente emerito Napolitano conosce bene finalità e attivisti: era infatti una formula diretta a eliminare ogni volontà di contrasto nei riguardi dell’ideologia sovietica. Non si tratta neppure del pacifismo della “pace a ogni costo”, perché la rinuncia ai propri ideali, alla civiltà, alla libertà e alla dignità sono sempre stati considerati costi troppo alti: inaccettabili e insostenibili.
Non è nemmeno umanitarismo, perché la propria presunta intransigenza e il ripudio della violenza non possono contribuire al massacro degli altri. In realtà, non si tratta neppure di pacifismo “nuova maniera” perché gli stessi pacifisti moderni pensano seriamente a un’alternativa meno violenta della guerra, ma non al rifiuto incondizionato del ricorso alla forza che eliminando i cani da pastore lascia gli agnelli al branco di lupi.
Il pacifismo a cui allude il presidente e che sembra ispirare sia il governo sia alcune opposizioni non ha niente d’idealistico e umanitario: è soltanto un trucco politico per guadagnare tempo. Questi pseudo pacifisti saranno i primi a sganciare le bombe non appena verrà detto loro da che parte schierarsi.
Ma questo è proprio il nodo della questione libica. Visto che, giustamente, non si fidano dei francesi e degli inglesi che già combattono la rispettiva guerra, i nostri governanti sperano molto negli Stati Uniti, come sempre. Ma, una volta tanto, nemmeno lo stesso presidente Obama sa cosa fare. Il Pentagono gli ha proposto un piano di battaglia chiaro e netto, ma lui non è convinto e ha ragione. Vuole dar tempo all’Onu per varare un governo, se non altro per salvargli la faccia. Vuole capire con chi stare e a chi consegnare le chiavi della Libia, ma il Pentagono non gliel’ha detto e lui, forse, non si fida del Pentagono, e anche qui avrebbe ragione.
I suoi diligenti generali hanno individuato 40 obiettivi sul terreno distribuiti in tre settori libici da battere con un’intensa campagna aero-missilistica che preluderebbe a un attacco di terra condotto da truppe libiche sostenute da contingenti francesi, inglesi e italiani. Se si trattasse soltanto di battere l’Isis, come dichiarato, non ci sarebbe bisogno di un grande spiegamento di potenza e forze. Inoltre, l’Isis non controlla tutta la Libia e non ha obiettivi strategici in tutti e quattro i settori individuati.
Le milizie libiche rispondono ad autorità e capi locali non necessariamente appartenenti all’Isis, ma tra quelle che dovrebbero battersi per la Libia ci sono senz’altro quelle che finora non hanno fatto niente contro l’Isis.
Gli egiziani e i francesi si sono già accordati e si stanno esercitando per assicurare il controllo a Tobruk. E questo mette a rischio ogni cooperazione da parte di Tripoli.
In queste condizioni il piano militare americano è praticamente una trappola politica: esso è infatti indipendente da qualsiasi soluzione politica, da qualsiasi schieramento sul terreno, da qualsiasi richiesta dei libici, da qualsiasi partecipazione alleata e da qualsiasi scenario sul futuro della Libia. Il presidente Obama forse se ne è accorto e anche lui prende tempo: in attesa che alleati e generali gli spieghino cosa hanno già deciso.