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 2016  marzo 10 Giovedì calendario

Perché sempre più nigeriani sbarcano in Sicilia (c’entra il petrolio)

«Meglio morire nel Mediterraneo che crescere in Nigeria» aveva detto Stephanie, una mamma nigeriana di 24 anni agli uomini della Marina Militare che l’avevano soccorsa a marzo 2015, dopo aver partorito a bordo di una delle carrette del mare che la portava dalla Libia in Italia. Un anno dopo niente è cambiato.
Uomini e donne nigeriane continuano a fuggire da un Paese, diventato due anni fa la prima economia africana, ma ancora incapace di garantire stabilità e futuro ai suoi 180 milioni di abitanti. Si scappa dagli attacchi jihadisti di Boko Haram nel Nord-Est, dall’estrema povertà degli aridi Stati settentrionali, dalle lotte etniche e religiose tra cristiani e musulmani vicino alla capitale Abuja. Neanche più il petrolio sembra in grado di trattenere le popolazioni del Delta del Niger provate dall’inquinamento ambientale e da un profitto ridotto all’osso a causa del crollo del prezzo dell’oro nero.
Diversi i punti di partenza. Lagos, la megalopoli di 18 milioni di persone, dove convivono 15.400 nigeriani con patrimoni superiori al milione di dollari (dati «The 2015 Africa Wealth Report») e migliaia di persone in povertà estrema ammassate nello slum galleggiante di Makoko. Gli Stati di Adamawa e Borno, i più colpiti dagli attacchi di Boko Haram, dove 2,1 milioni di persone vivono nei campi profughi messi a disposizione dal Governo. Qui a fuggire sono soprattutto i 19 mila insegnanti rimasti senza lavoro dopo che oltre mille scuole sono state distrutte dai terroristi. Da Edo, una volta regione ricca del Paese grazie al petrolio, area da cui provengono molte delle ragazze che finiscono nel racket della prostituzione gestita dall’alleanza camorra-mafia nigeriana a Castelvolturno. Il punto di raccolta è lo Stato di Sokoto, il più povero del Paese, da dove partono le carovane di uomini e trafficanti verso il Niger, la Libia e il sognato Mediterraneo. In migliaia partono, molti non riescono ad arrivare neanche sulle coste libiche per iniziare la traversata.
Paese a due velocità
La Nigeria cresce sempre più a due velocità. Da una parte Aliko Dangote, l’uomo più ricco d’Africa con un patrimonio di 17 miliardi di dollari, dall’altra, secondo l’Oxford Poverty and Human Development Initiative (Ophi), l’84,4% della popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno. Nello Stato africano sono circa 20 milioni i disoccupati, di cui la metà giovani. Per le trafficate strade delle città fabbri, idraulici e artigiani si auto-promuovono con cartelli di cartone per provare a racimolare qualche spicciolo. Il nuovo presidente Buhari, per sua ammissione, dopo un anno al governo non è ancora riuscito a diversificare un’economia dipendente per il 70% dal petrolio.
Tra milionari e Boko Haram
La Nigeria produce poco e niente, importa quasi tutto ed avere una moneta debole, la naira, non aiuta. La lotta alla corruzione, vera piaga del Paese, sta, però, iniziando a dare i suoi frutti. Oltre 300 milioni di dollari rubati dal defunto dittatore Sani Abacha e depositati in Svizzera torneranno nel Paese; la Nigeria National Petroleum Corporation, l’azienda statale responsabile per l’estrazione del petrolio è stata divisa in 30 compagnie per ridurre le perdite, circa 160 miliardi di naira, molti dei quali usati per mazzette.
Nel manifesto elettorale di Buhari, musulmano del Nord, c’era la volontà di bloccare l’emorragia della corruzione per poter ridistribuire le risorse tra gli Stati settentrionali colpiti da Boko Haram e povertà. Nonostante i recenti successi dei militari nigeriani capaci di recuperare terreno ed armi al gruppo terrorista, la minaccia rimane alta a causa dell’imprevedibilità dei jihadisti, trasformatisi in un gruppo di guerriglia pronto a far detonare innocenti bambine kamikaze in ogni angolo del Paese.