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 2016  marzo 10 Giovedì calendario

«Un bagno ogni dieci giorni è sufficiente». Facci risponde a Fulco Pratesi su acqua, sprechi e igienismo

Avrebbe pure le sue ragioni, Fulco Pratesi: spesso l’igiene diventa solo igienismo, una vera e propria ossessione. Ci laviamo troppo? Non so, un breve giro in metropolitana farebbe pensare il contrario, ma il 22 marzo è la Giornata mondiale dell’acqua e allora gli ambientalisti – che in metropolitana non sempre ci vanno – si fanno pensosi, e purtroppo offrono materiale formidabile per farsi sfottere a vita.
Ripeto, hanno buone ragioni, è vero, sprechiamo acqua, ci anneghiamo di docce mentre un tempo si faceva il bagno una volta alla settimana (al sabato, tipicamente) e non se ne vergognava nessuno. Una doccia corrisponde a 50 o 60 litri ogni volta, vero anche questo. Fior di studi dimostrano che l’eccesso di pulizia porta malattie, non viceversa: perché le difese immunitarie si abbassano, i dermatologi dicono che la maggior parte dei saponi altera la flora microbica che ci protegge dai germi pericolosi. La letteratura abbonda. Solo che, ecco, queste cose non dovete farle spiegare a Fulco Pratesi, ex presidente del Wwf e ottima persona: perché, senza volere, offre il fianco al ridicolo, e rischia che assieme allo sciacquone vada giù anche tutta la sua campagna.
Queste cose fatele spiegare, chessò, a Donnachadt McCarthy che ne ha già scritto sul Guardian, e che da noi farebbe fico perché è anglosassone: Pratesi invece – ripetiamo: ottima persona – non fa che comunicarci, in pratica, che si lava sempre meno. Già nel 2007, sul Corriere della Sera, raccontò che lui azionava lo scarico del water solo in caso di ingente produzione, e si lavava solo il sabato mattina, e praticamente si lavava i denti senz’acqua (mai al mattino, solo dopo i pasti) e poi si cambiava la biancheria e il vestiario solo dopo esame ottico: «Le camicie, meglio se non bianche e non strette da cravatte, mi possono durare dai due ai tre giorni, le mutande qualcosa in più, mentre la canottiera resiste da un sabato all’altro, d’inverno i calzini possono aspettare tre giorni».
Interessante, ma la sostanza è che Pratesi non si rese conto del suo autogol: non si rese conto, cioè, che non induceva a riflessione perché faceva ridere. Tutte le sue restanti ragioni – l’italiano che consuma più acqua di tutti, 800 litri pro capite al giorno, queste cose – passava in secondo piano rispetto alla sua personale lavastoviglie non azionata, ai piatti puliti senz’acqua con una spugnetta, al mancato uso di deodoranti, tutta roba che Pratesi spiegava già nel 2007 e che sul Corriere della Sera di ieri, morale, si sono evolute così: «A quasi dieci anni di distanza, dico: altro che una settimana, un bagno ogni dieci giorni è sufficiente». Alè.
Che poi io la capisco, esimio Pratesi: non sa quanto. Da bambino mi ribellavo, esponevo le sue stesse teorie ma in famiglia non trovavo un adeguato retroterra culturale. Il mio, peraltro, era puro istinto: non sapevo che Luigi XIV – il famoso Re Sole – in tutta la sua vita fece solo due bagni e solo su consiglio dei medici; che i nobili del Cinquecento facevano mediamente un bagno ogni quattro o cinque mesi (i nobili nel Settecento non ne facevano proprio) perché la cattiva fama dell’acqua nasceva con le pestilenze: dicevano che aprisse i pori, e permettesse l’ingresso di aria appestata. Le città dell’epoca erano così: niente igiene né igienismo, niente cestini della spazzatura e pulizia delle strade, la gente faceva in media un solo bagno nella vita e aveva una sola camicia, raramentre lavata, si incipriavano i capelli invece che fare lo shampoo, camminavano in strada facendo slalom tra sporcizia e letame. Nelle strade si accumulavano rifiuti ed escrementi, e girare in carrozza era un modo per tenersene lontani: non a caso si usavano stivali alti, servivano a guadare lo schifo. In certe città tedesche si usavano persino i trampoli. Le abitudini moderne arrivarono in Europa solo nel diciannovesimo secolo, e piano piano ci si rese conto che la poca igiene portava malattie: la reazione fu uguale e contraria, tanto che oggi si esagera. Tipico. È come con la carne: durante le guerre mancava, dopo si esagerò.
Ora cerchiamo un equilibrio, ma sono processi lunghi e complicati, serve tempo a sensibilità, dunque la preghiamo, esimio Pratesi: non ci parli più dei suoi bagni e dei suoi sciacquoni del water, altrimenti l’istinto – nostro – sarà di correre ad usarne uno, oltretutto sprecando un sacco di acqua. Un rapido giro in metropolitana – ripetiamo – e si accorgerà che la ribellione all’igienismo è già sentita in modo penetrante. L’equilibrio, esimio Pratesi, l’equilibrio: la soluzione è sempre quella, a un palmo di distanza. Dal nostro naso.