Corriere della Sera, 10 marzo 2016
C’era un imam che da Campobasso progettava di far saltare in aria Roma (e, per favore, non ridete)
Le microspie hanno registrato frasi che – tradotte e trascritte nei verbali di polizia – suonano inquietanti, indicative di atteggiamenti bellicosi, con riferimenti allarmanti. Per esempio alla stazione Termini e alla Capitale. Del tipo: «Cominciamo dall’Italia, andiamo a Roma e cominciamo dalla stazione». E ancora: «È sufficiente avere una grande fede, non serve molto altro per farsi esplodere... Attrezzarsi e farsi saltare in aria è la via più semplice». Oppure, prendendo spunto dall’assalto al settimanale satirico francese di inizio 2015: «La guerra continua, Charlie Hebdo era solo il precedente di quello che sta succedendo adesso».
Parole piuttosto esplicite, ma pur sempre parole. Che dietro ci fosse pure un progetto per realizzare un attentato a Termini o altrove, è ancora da dimostrare. Le indagini non hanno evidenziato alcun preparativo in corso, computer e telefoni sequestrati ieri dovranno eventualmente chiarire se dietro i proclami c’erano anche intenzioni concrete. Se la persona intercettata era o un esaltato o un potenziale terrorista. Fatto sta che alle prime avvisaglie che lsi stesse muovendo (e forse allontanando dall’Italia) gli investigatori e gli inquirenti della Procura di Campobasso hanno deciso di arrestare un giovane somalo di 22 anni, autoproclamatosi imam dopo aver scalzato il precedente predicatore di una piccola comunità islamica, composta di migranti e residenti asilo sbarcati nella provincia molisana poco meno di un anno fa. L’hanno fermato perché, hanno scritto i pm nell’atto d’accusa, «con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, svolgeva reiterata attività di istigazione alla commissione di delitti con finalità di terrorismo nei confronti di correligionari ospiti della struttura Happy Family di Campomarino», ottanta chilometri dal capoluogo, sulla costa adriatica.
Tra oggi e domani un giudice di Larino dovrà decidere se convalidare il fermo e trattenere in carcere il ragazzo (che aveva chiesto all’Italia asilo politico, ma gli era stato negato), oppure scarcerarlo. In tal caso è probabile che scatterebbe l’espulsione. Digos e Questura locale sono convinte (come i magistrati della Procura) di aver disinnescato un pericolo reale. Perché – sostengono – i discorsi che il somalo faceva nell’improvvisata moschea del residence che lo ospitava erano veri e propri incitamenti «alla jihad contro gli infedeli»; propaganda supportata dalla visione comune di «immagini e filmati cruenti di azioni riferibili alle organizzazioni islamiche estremiste».
Non tutti erano convinti dai sermoni, e qualcuno s’è allontanato dall’imam; altri, ascoltati mentre parlavano tra loro, avrebbero svelato «l’intenzione di recarsi in Siria e combattere» da parte del giovane, che nel frattempo esortava: «In questo mese si organizza il mercato della jihad, e il Profeta prepara i soldati contro gli idolatri e combatte contro i nemici di Dio. Correte per essere i primi. Dio ha ordinato di uccidere i suoi nemici e fate la jihad in suo nome, predicate la religione e la Sharia e castigate il peccatore».
Così, quella cominciata come attività di prevenzione attraverso il monitoraggio di un gruppo di profughi, è divenuta un’operazione di polizia giudiziaria conclusa con l’arresto del sospettato. Consentendo al ministro dell’Interno Alfano di ribadire che «ancora una volta il nostro sistema di prevenzione ha funzionato».