ItaliaOggi, 9 marzo 2016
I tedeschi non vogliono più fare la guerra
Un po’ meno di noi, sempre pronti a esaudire l’amico americano, ma anche la Germania è impegnata in diverse missioni in giro per il mondo, sempre per tutelare la pace, ovvio. Nel 2010, a una precisa domanda di un giornalista durante il volo di ritorno da Kabul a Berlino, ma perché mai siamo in Afghanistan?, il presidente della repubblica Horst Köhler osò rispondere con la verità: «Perché il nostro paese esporta in tutto il mondo, e dobbiamo difendere i nostri interessi ovunque».
Fu costretto alle dimissioni immediate.
Come noi, la Germania ha affidato il ministero della difesa a una signora, Ursula von der Leyen, bionda dall’aspetto delicato, ma campionessa d’equitazione, madre di sette figli e milionaria, e come noi fa fatica a trovare i soldati necessari a fronteggiare gli impegni, da quando è stato abolito il servizio militare obbligatorio. Sempre meno sono i giovani volontari, e quelli volenterosi non sempre sono in una forma almeno sufficiente: troppe birre, troppi hamburger e patatine fritte, poco moto. Nel 2000, le forze militari contavano su 320 mila uomini, oggi 178.500. Di cui oltre il 10%, precisamente 19 mila, sono donne. La precisazione vagamente sessista è dei comandanti, che non oserebbero ripeterla innanzi a Frau Ursula, voglio presumere. Le donne saranno anche più efficienti dei maschi, ma non dovrebbero essere impegnate in prima linea. Ad essere realistici, appena 10 mila militari sarebbero in grado di sostenere professionalmente un combattimento.
La Bundeswehr, le forze armate, hanno dunque lanciato una martellante campagna pubblicitaria per trovare nuove reclute. Con 30 mila manifesti e 5 milioni di cartoline postali. Gli slogan sono moderni, spiritosi, e perfino autoironici: «Wir kämpfen auch dafür, dass Du gegen uns sein kannst», combattiamo anche affinché tu possa essere contro di noi.
La divisa non ha fascino in Germania. Le ragioni storiche non serve ricordarle, e i militari non le indossano quasi mai in libera uscita. Non sono un esperto, mi arruolarono in artiglieria, non so perché, e, per fortuna loro e mia, mi congedarono dopo dieci giorni. Non so riconoscere il grado, ma ai ricevimenti alla nostra ambasciata, gli ufficiali tedeschi ospiti sono sempre i meno eleganti.
Frau Ursula avrebbe bisogno almeno di 10 mila reclute all’anno, ma le racimola con molta fatica. «Noi andiamo avanti, non siamo mai fermi», promette un altro manifesto. Niente malignità, non s’intende sul campo di battaglia, ma nella vita.
Se ti arruoli potrai far carriera in 4 mila diverse professioni e attività, dal pilota di linea allo specialista online, al palombaro. In un video si fa vedere una pilota che ai comandi di un Eurofighter sfreccia a 2500 chilometri all’ora. Quindi, nonostante i pregiudizi dei generali, pronta a sfidare un caccia nemico.
La paga non è male. Una recluta per i primi tre mesi riceve 777 euro, fino a sei mesi 800, per arrivare a 1.100 dopo un anno e mezzo, vitto e alloggio incluso s’intende. E si guadagna di più se ci si arruola per lungo tempo: un cadetto già al primo mese riceve 1.600 euro netti, un tenente dopo sei anni di servizio, sposato con un figlio, arriva a 3 mila.
E un militare tedesco gode di un privilegio sconosciuto negli altri eserciti: può disobbedire a un ordine che ritenga ingiusto. È il principio della «Innere Führung», la guida interna tradotta letteralmente, voluta dal generale e conte Wolf von Baudissin, dopo i disastri del terzo Reich. «Ein Befehl ist ein Befehl», un ordine è un ordine, è un modo di dire che ha condotto a Auschwitz. Il principe ha sempre ragione, diceva Lutero. Nell’esercito di Ursula un semplice soldato può sempre chiedere al generale che ordina l’attacco «warum?», perché. Ma ai giovani nati dopo la caduta del muro non basta.