Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 09 Mercoledì calendario

Guido Chiesa, un regista molto particolare

Dal Partigiano Johnny alla serie Quo vadis, baby?, alla commedia Belli di papà: è davvero composito il percorso di Guido Chiesa. Regista «eclettico», secondo il Piemonte Movie Glocal Festival, che gli dedica un omaggio. Nella sua trentennale carriera, infatti, cinema d’autore, documentari, film quasi sperimentali, videoclip, commedie. 
56 anni, di Cambiano, piccolo centro dell’hinterland torinese, Chiesa appartiene a una generazione di cineasti che nel corso del tempo ha saputo fare i conti con il mercato, senza dannarsi l’anima. Perché commerciale non è sinonimo di demonio. Anzi, il cinema popolare – come insegna la migliore commedia all’italiana – può essere ottimo veicolo per riflessioni sul presente e la nostra società. 
Eclettico. Ma anche «glocal», globale e locale, come il festival: sette anni a New York lavorando con registi come Jarmusch, poi torna a casa e giraIl caso MartelloeIl Partigiano Johnny, ambientati in Piemonte.
«Ciò nonostante non mi sono mai sentito radicato sul territorio. Da Torino sono andato via piuttosto presto e più di metà della mia vita l’ho trascorsa lontano da qui. Né sono piemontesi i miei punti di riferimento. Non sono il “Pupi Avati delle Langhe”, come mi definirono. Certo, Fenoglio è un riferimento culturale, ma come lui ho per modello la cultura anglosassone». 
Quanto importanti gli anni americani?
«Determinanti. Attraverso quei filmmaker mi sono riconciliato con il cinema europeo. Mi hanno data una metodologia di lavoro sul set. E mi hanno insegnato a lavorare a partire da ciò che si conosce, anche se molto piccolo». 
Poi però è tornato.
«Non avevo mai pensato di restare per sempre. Dopo tanti anni ero sempre considerato e mi sentivo un alieno. Non riuscivo a realizzare i progetti che volevo. E in Italia, a fine Anni Ottanta, le cose parevano cambiate».
Dopo anni di serissimo cinema d’autore, inaspettatamente firma «Belli di papà», commedia, con Diego Abatantuono.
«Sono passati tanti anni e tanti progetti rimasti sulla carta. Le cose della vita cambiano con una gradualità che da fuori non si vede. Anche il mercato è molto cambiato. Come mi disse Maurizio Totti di Colorado: nel giro di pochi anni in Italia film come i miei non si sarebbero più fatti, o quasi. Solo cinema commerciale e commedie: la serie A. E quello d’autore divenuto la serie B. Se non avevo ancora fatto commedie, poi, era solo per pregiudizio dei produttori. La storia del cinema è fatta dei Welles e dei Wilder, di Kubrick e di Chaplin. Nelle commedie spesso ci sono tante più idee che in certo cinema pretenzioso, che forse io stesso ho praticato in passato». 
«Belli di papà» è stato un successo.
«E infatti sto già lavorando a due nuove commedie, sempre con Colorado. Una da girare entro l’anno. Come Belli di papà, la prima tratta ancora del rapporto genitori e figli, figli piccoli però. L’altra, un po’ più avanzata come scrittura, parla della scuola, vista dalla parte dei ragazzi, normali liceali che si confrontano con le follie del mondo. La scuola in piccolo è lo specchio della nostra società, che ha perso senso e obiettivi. Come regista mi piace poter far parte di un progetto condividendone temi ed etica: che importa se il linguaggio è popolare?».
Nessun ripensamento?
«Uno c’è, derivato dalla mia esperienza con l’associazione Fragole Celesti e le sue storie di donne abusate. Tratto dal libro di Paolo Sortino Elizabeth, racconta la storia fittizia – a partire dai pochi fatti di cronaca noti – di una ragazza sequestrata per 24 anni dal padre in un bunker sotto casa e poi lasciata fuggire con i loro sette figli. Orchi così, abusi sessuali nell’infanzia da parte di parenti, sono all’origine della grande parte delle patologie psichiche di donne e uomini, ferite insanabili e segrete. Chissà se me lo lasceranno fare».