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 2016  marzo 09 Mercoledì calendario

Chi suona il rock campa cent’anni. A proposito della sordità di Brian Johnson degli AC/DC

Massimo rispetto e massima solidarietà a Brian Johnson, il cantante degli AC/DC. Deve fermarsi, cancellare la tournée, perché rischia la sordità. Lo capisco. Chiunque si sia trovato sul palco, o nei dintorni del palco, degli AC/DC sa di che cosa sto parlando. Se sei il cantante degli AC/DC, la sordità è la tua malattia professionale. Che s’assomma all’ingiuria degli anni.
E gli anni passano. Oh, se passano. Ma loro, le leggende del rock, i rollingstonesaerosmithacdcdeeppurple eccetera eccetera eccetera sono sempre lì. A cent’anni sono ancora in tournée, cantava il dottor Jannacci. Li chiamano «i dinosauri del rock», ma intanto continuano a riempire gli stadi a un’età in cui i comuni mortali già s’accontenterebbero di andare al supermercato senza ricorrere a quelle poltroncine su quattro ruote che Mengacci pubblicizza estasiato nella tivù del pomeriggio.Ricordo quando Mick Jagger dichiarò che si sarebbe sentito un idiota a cantare il rock a quarant’anni. Allora ne avevo venti, di anni, e Mick pochi di più, ed entrambi giudicavamo i quarant’anni un’ottima età per essere morti. Poi ai quarant’anni ci siamo arrivati – Mick ben più miracolosamente di me, considerati i differenti stili di vita – e Mick ha continuato a cantare il rock, mentre io ho smesso di scriverne. Il risultato è che io non riesco a inseguire l’autobus senza rischiare il ricovero in cardiologia, mentre Mick insiste a sgambettare su palchi ben più vasti di una pensilina dell’autobus.
May you stay forever young, possa tu restare giovane per sempre, mi augurava Bob Dylan, oggi settantaquattrenne ancora in tournée, più o meno nel periodo in cui Brian Johnson diventava il cantante degli AC/DC, e Mick Jagger oltrepassava sgambettando la quarantina. A quell’epoca il quasi trentenne Vasco Rossi mi annunciava, rassicurante, che noi siamo quelli che poi muoiono presto. Vasco ha due anni più di me: ora come ora, non direi che ci è andata malaccio. Ma a Vasco è andata meglio, sempre confrontando i rispettivi stili di vita.
In realtà quella di Vasco era pura scaramanzia: lui ed io apparteniamo alla prima generazione che ha insistito a definirsi giovane ben oltre le soglie della mezza età, e credeva nell’eterna giovinezza dei suoi idoli. Per noi sono ben duri richiami alla realtà le notizie del tipo che Steven Tyler si scassa cadendo nella sua camera d’albergo come un qualsiasi pensionato di Viggiù.
Già. L’orrida realtà. Come quando apprendemmo, costernati, che uno special sui Beatles alla tivù americana aveva avuto come principale inserzionista una ditta di pannoloni per anziani. O di adesivi per dentiere, non ricordo bene. 
Vari fattori hanno contribuito a nascondercela, quell’orrida realtà. Le tinture per capelli e il botox hanno fatto il loro sporco lavoro. Ma più d’ogni fattore chirurgico ha potuto la passione dei nostri figli e nipoti che, «en manque de mieux», a lungo hanno condiviso con i padri e i nonni la passione per gli stessi eroi della chitarra. C’è voluta la rivoluzione rap per spezzare almeno in parte quel patto perverso fra generazioni, e restituire tanti simboli generazionali alla loro giusta generazione: sicché tristemente – ma anche finalmente – ho potuto piangere da solo la morte di Paul Kantner, senza subire i like di qualche sbarbatello che non era neppure un pensiero nella mente di suo padre quando Paul e la Jefferson Starship firmavano «Blows against the Empire».
Eppure quel vento soffia ancora: quando i dinosauri del rock si muovono, gli stadi si riempiono, la nostalgia è canaglia, gli incassi si impennano. I fan di ieri e big spender di oggi, e i fan di oggi senza serie alternative, tengono accesa la fiaccola del sold out, e la macchina non si può fermare. Non c’è pensione, per gli dei dello showbiz. Cadranno ad uno ad uno, fermati dalla Grande Consolatrice o dal reumatismo malignazzo; però la leggenda non scende a patti con l’anagrafe. E la leggenda prescrive che chi suona il rock campa cent’anni. A meno che non muoia a ventisette.