il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2016
Lo scandalo di Quarto di cui non frega più niente a nessuno
Due mesi fa il Comune di Quarto, 40 mila abitanti alle porte di Napoli, balzò ai disonori delle cronache perché si era scoperto che l’anno scorso il ras locale, a piede libero ma ritenuto vicino alla camorra (comandava addirittura il business delle pompe funebri), aveva fatto votare per un candidato dei 5Stelle, Giovanni De Robbio, dopo che la lista preferita dal clan, quella del Pd, era stata esclusa; e che De Robbio, una volta eletto consigliere comunale con 955 preferenze, aveva provato a ricattare la sindaca Rosa Capuozzo, minacciando rivelazioni su un sottotetto abusivo nella casa del suocero se non avesse affidato la gestione del campo sportivo a un amico degli amici. Un mese dopo le prime voci su De Robbio e prima che fosse indagato dalla Dda di Napoli, i 5Stelle l’avevano espulso; poi chiesero le dimissioni della Capuozzo per non aver denunciato il ricatto, che lei peraltro negava di aver subìto, dimostrando di non avervi ceduto; infine espulsero anche lei perché rifiutava di andarsene.
Per tre settimane Quarto divenne la capitale d’Italia, anzi d’Europa, con aperture quotidiane di giornali e tg, farciti di decine di dichiarazioni di esponenti del Pd, ai quali non pareva vero di poter dimostrare non di essere onesti (non esageriamo), ma che anche il M5S è disonesto. Di chiedere le dimissioni non solo della Capuozzo (poi furbamente difesa da Renzi), ma pure di Fico, Di Maio e tutto il Direttorio. E di trascinarli in Antimafia per torchiarli a dovere.
Più prudentemente, avendo Dell’Utri e Cosentino in galera, FI sorvolò. Noi facemmo timidamente osservare che innalzare di botto gli standard etici fino a trasformare quel caso locale in uno scandalo nazionale, poteva rivelarsi un boomerang per il Pd, con le sue decine di parlamentari e amministratori locali condannati o imputati o indagati. Infatti non avevamo ancora finito di scrivere e già si scopriva che il sindaco Pd di Reggio Emilia e la moglie avevano comprato casa da un prestanome della ’ndrangheta. Poi a Brindisi viene arrestato il sindaco Pd, indagato da anni e “autosospeso” ma sempre sostenuto dal partito. A Como è indagato il sindaco Pd. E a Casavatore, sempre alle porte di Napoli, l’ex candidato sindaco Pd – per cui fecero campagna un sorvegliato speciale per camorra e il vicesegretario Lorenzo Guerini – è inquisito per voto di scambio mafioso, e la moglie è l’assistente di Valeria Valente, candidata a sindaco di Napoli. Il Pd non espelle nessuno (però il consigliere di Casavatore si “autosospende”, ah beh allora).
Nessuno si dimette, anche perché nessuno lo chiede. L’Antimafia non convoca nessuno. Giornali e tg, salvo qualche trafiletto, se ne fregano allegramente. Domenica si vota alle primarie del Pd per scegliere i candidati sindaci. A Roma va ai gazebo la metà (ma c’è chi dice solo un terzo) dei votanti di due anni fa. A Napoli un terzo. Matteo Orfini, grande comico, dice che è un trionfo perché al Pd romano “mancavano le truppe cammellate di Mafia Capitale”: e chi c’era, nel Pd romano, ai tempi delle truppe cammellate di Mafia Capitale? Sempre Orfini. Purtroppo però si scopre che anche stavolta s’è cammellato, e parecchio. E non con i soliti cinesi, stufi di certi servizietti. Stando ai dati ufficiali, domenica ben 2.866 elettori hanno sfidato il nubifragio e scucito 2 euro per votare scheda bianca, mentre altri 843 l’hanno fatto per annullare la scheda.
Dei geni. E il Pd, ad abundantiam, li ha messi nel conto dei votanti per far numero. Non è meraviglioso? A Napoli, meglio ancora: vari video dimostrano che i gazebo democratici, specie nei quartieri a più alta densità camorrista, erano ingentiliti dalla presenza di nerboruti buttadentro pidini, intenti a convincere i riottosi passanti a votare sventolando fruscianti banconote e precisando, a scanso di equivoci, “chella chella, ‘a femmena devi votare”. Cioè la Valente, uscita poi vincitrice su Bassolino per 452 voti di scarto: a don Antonio ne bastavano 227 in più per arrivare primo. Che si fa? Si annulla? Si rivota? Qualcuno si dimette, o viene espulso, o trascinato all’Antimafia, almeno si autosospende? Seee, buonanotte. “Casi isolati”, sentenzia la Serracchiani. Ma quali “casi”? “Un caso singolo – precisa Orfini, principe della risata – che non inficia il risultato finale, regolare al 99%”.
E quelli che invocavano dimissioni, crocifissioni, impalamenti e garrote sull’intero vertice M5S per il ricatto non denunciato e il sottotetto non dichiarato dalla Capuozzo? Desaparecidos. Non vorremmo che gli fosse successo qualcosa di grave: rapimento? paresi facciale? taglio della lingua? Afasia? E dire che solo due mesi fa erano così loquaci e battaglieri. Fabrizio Rondolino: “Il M5S è morto a Quarto”. Orfini: “La camorra vota 5Stelle, Quarto non è un caso isolato. Di Maio va espulso”. Pina Picierno: “Il sindaco Capuozzo deve andare via subito. Non c’è tempo da perdere per ripristinare la legalità”.
David Ermini: “Più che la Capuozzo dovrebbe dimettersi il Direttorio”. Matteo Renzi: “Il M5S non ha più il monopolio morale”. Andrea Romano: “Il M5S ha trovato la sua Waterloo morale, mediatica e politica”. Stefano Esposito: “Quarto è il fosso in cui sono caduti i 5Stelle, scavato con le bugie di un Direttorio imbarazzato e imbarazzante. Altro che ‘a loro insaputa’: sapevano e mentono. Fico e Di Maio vanno convocati in Antimafia e Quarto va sciolta”. Ernesto Carbone: “Fico e Di Maio sapevano e non hanno agito. Li aspettiamo in Antimafia. Non pensino di cavarsela con ridicoli distinguo lessicali e omertosi silenzi”. Com’erano garruli, cazzuti e giustizialisti, i nostri eroi. Nell’ora della tragica scomparsa, ci piace ricordarli così. Alla memoria.