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 2016  marzo 09 Mercoledì calendario

Quando i grandi campioni si trasformano nei peggiori traditori. Da Lance Armstrong a Maria Sharapova

A volte li beccano dopo due giorni (Ben Johnson), a volte dopo quindici anni (Lance Armstrong) ma è sempre un grande dolore, una profonda tristezza per chi ci aveva creduto. Ci si sente imbecilli ad avere investito tanta passione in loro, in quegli occhi da truffatori, in quei muscoli gonfiati.
Ma come, Maria, anche tu? Così bella, forte, solare, radiosa, talentuosa. Così falsa? Perché il doping è sempre un tradimento d’amore.
Ci cascano i miti, e qui saltano le certezze. Nulla più torna. Il precipizio è sempre, anche, un voltarsi indietro: quanto c’era di vero in quelle formidabili imprese? Forse niente. Il trucco non sporca il futuro, non inganni la prospettiva della squalifica. Il trucco è sempre al passato. Cancella la gloria con una spessa nebbia fangosa: dunque, era stato solo fumo.
Nessuno può più credere neppure a una singola pedalata di Armstrong sulle montagne ghiacciate o roventi, nel vento delle cronometro dove da ragazzo era abbastanza lento, poi d’improvviso un razzo. La sua confessione, l’Epo indifendibile hanno distrutto una fantastica storia, sporcando anche la testimonianza per i malati di cancro. E quei duelli col povero Pantani che aveva il sangue denso come marmellata?
È una vertigine, un delirio di onnipotenza. Si sale e si cade: per vizio, la droga di Maradona (era cocaina, non gli serviva ad essere più bravo, neppure un dio ci sarebbe riuscito), per leggerezza (l’oro di Schwazer affogato nel pianto) o per tracotanza, per ingordigia: i milioni di dollari rubati da Armstrong allo Stato americano, visto che il suo sponsor era la compagnia delle poste.
Si sale, a volte, tra i dubbi: superflui. Bastava guardare l’involucro di Ben Johnson per capire che lì dentro non poteva esserci niente di umano, eppure i 100 metri di Seul ‘88 se li era mangiati in un boccone, medaglia d’oro e record del mondo. Quel mondo, lui lo guardava con occhi insanguinati e un ghigno triste, forse premonitore. Dopo tre giorni era già un bieco drogato, allora andavano molto gli steroidi anabolizzanti, cose che nel doping di oggi sembrano aranciata.
Il fuoriclasse truccato cade quasi sempre di schianto, come una sequoia, ma in quel tronco il cedimento era antico e invisibile, qualcosa di molto interno e buio. Tutti sapevano che Diego Maradona si faceva, era solo questione di tempo. L’agguato glielo tese addirittura la Fifa, non proprio un circolo di verginelle, dopo che lui aveva attaccato e dileggiato Blatter in ogni modo. Era pieno di coca, Maradona, ma lo avevano lasciato tranquillo e senza controlli, a Usa ‘94 pareva rinato, urlava nella telecamera come un malato euforico, categoria tra le più pericolose. Lo usarono per la platea, poi lo abbandonarono alla sua caduta infinita.
Qualcuno la scampa, a qualcun altro fanno finta di credere: come al nuotatore brasiliano Cesar Cielo, oro a Pechino nella specialità più veloce, i 50 stile, poi positivo a un diuretico coprente eppure solo sospeso e perdonato tra mille dubbi (e quanti ancora, sulla ridicola bistecca di Contador). Altri, tra quei dubbi, addirittura muoiono: come Florence Griffith con le sue unghie memorabili e le tutine da astronauta, scomparsa nel sonno a 38 anni, mai positiva ai controlli (anche Pantani, se è per questo) ma avvolta nel sudario del sospetto, quelle voci su una partita di Gh infetta, gli steroidi, l’epilessia.
Perché quando cade, o quando muore, il campione è sempre solo. Gli si sgretola il passato, cioè la materia densa della sua vita: le vittorie, le medaglie, i record. Il grande atleta vive nell’illusione del presente continuo, invece è tutto passato istantaneo. E se la chimica lo sporca, è come se lui non fosse mai nato. Il doping, quando un brutto giorno lo beccano, si mangia la memoria che lo accompagnava, il canto di chi narrò l’impresa, quell’alone di leggenda che è subito letteratura, epopea da tramandare. È una morte anticipata: non esiste un’altra parola per dirlo. Una morte che si porta via l’eternità dei gesti, lo splendore che li seguiva, e ne distrugge soprattutto il ricordo. Come un amore tradito.
Ma adesso, accidenti, come facciamo a immaginare morta Maria la bellissima?