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 2016  marzo 09 Mercoledì calendario

Ministra, avvocata, ingegnera... Mestieri e professioni devono essere declinati al femminile. La Crusca dà ragione alla Boldrini

Perché quando diciamo contadina, operaia, bella lavanderina, nessuno si indigna della declinazione al femminile mentre se pronunciamo ministra, avvocata, ingegnera, subito partono le ironie? Laura Boldrini, presidente della Camera, rilancia, per l’otto marzo, una battaglia per lei quotidiana: quella del linguaggio. Ieri seminario nella sala della Regina mentre all’esterno di Montecitorio ecco le bandiere a mezz’asta rendere omaggio alle 1.700 donne uccise in 10 anni nel nostro Paese.
Fa proprio questi esempi, la presidente: possiamo dire cameriera e infermiera ma chirurga no. Questione di «scala sociale». E poi, dicono i portatori di pregiudizio, chirurga suona male, «è cacofonico». L’estetica in realtà non c’entra: «C’è ancora una barriera culturale, sessista, e su questa dobbiamo lavorare. Perché la grammatica ci dice che ogni parola si deve declinare al femminile, la società cambia e il linguaggio si evolve».
Anche la Crusca prende posizione. Al dibattito organizzato dall’ Intergruppo parlamentare sulla questione di genere, la presidente emerita dell’Accademia linguistica, Nicoletta Maraschio, fornisce l’assist scientifico alla Boldrini: «Se è corretto dire la maestra e il maestro, l’operaia e l’operaio, sono corretti, sotto il profilo grammaticale e sociologico, anche l’architetta, l’avvocata o l’avvocatessa». Fine delle discussioni e, soprattutto, dei sarcasmi. Diciamo cliccare, taggare, ce la faremo a pronunciare magistrata? Questione non soltanto formale: «Declinare al femminile è riconoscere la sostanza, la storia delle donne».
Il titolo dell’iniziativa è: «Genere femminile e media. L’informazione sulle donne può cambiare». La presidente ha convocato i responsabili di carta stampata, agenzie, televisione. A dibattere Mario Calabresi, direttore di Repubblica, Antonio Polito, vicedirettore del Corriere, Marcello Sorgi, editorialista della Stampa, Luigi Contu, direttore dell’Ansa, Antonio Di Bella, neo direttore di Rainews, Sarah Varetto, direttrice di Skytg24, modera Maria Latella. Cosa possono fare i media? Migliorarsi. Cecilia Robustelli, docente di linguistica a Modena: «Il vostro linguaggio conserva e diffonde gli stereotipi che discriminano il genere femminile». Noi giornalisti (e giornaliste) abbiamo una grande responsabilità. Per esempio quando parliamo di femminicidio. Dietro ci sono persone e storie tragiche, non solo numeri. Calabresi: «Mi sono interrogato su quali possano essere le linee guida nel porgere la notizia. Alla fine, come per il terrorismo, bisogna partire dalle vittime, assumere il loro punto di vista». Restituire l’umanità, la dignità, contro quello che Varetto chiama «il rischio dell’assuefazione». Un’informazione più delicata, più sensibile, «meno androcentrica». Luigi Contu racconta quando, cronista parlamentare, fu ripreso da Nilde Iotti di cui aveva descritto la mise: «Non mi sembra che abbia analizzato l’abbigliamento del collega maschio accanto a me!». La verità? «Il nostro è un Paese arretrato, che non sa affrontare la questione del sesso – dice Polito – e il linguaggio nasconde quell’inferno profondo». Antonio Di Bella, tornato in Italia da Parigi, ricorda il caso del deputato Aubert che si è rivolto alla vicepresidente dell’Assemblea nazionale, Sandrine Mazetier, senza declinare al femminile. È finita con una multa di 1.378 euro. Applausi in sala.