Corriere della Sera, 9 marzo 2016
Se Hillary Clinton parlasse come Trump
Ieri, festa dell’8 marzo per chi volesse, la prima donna a poter diventare l’essere umano più importante del pianeta – o quasi – ha fatto varie cose. Ha tenuto un comizio al Cuyahoga Community College di Cleveland, in Ohio. Ha ricevuto una specie di endorsement da un conduttore dell’avversaria Fox News – Bret Baier ha ammesso che, per non far vincere Donald Trump, alcuni repubblicani importanti sono pronti a votare Clinton – ed è stata accusata sui social da dei fan di Bernie Sanders di stare creando un clintoniano Partito della Nazione; di corteggiare figure autorevoli, ora nervose, del partito a lei avverso. Ha seguito l’andamento delle primarie di giornata, soprattutto in Michigan, dove si è concentrata sullo scandalo dell’acquedotto tossico di Flint. La strategia funziona; Clinton fa campagne stato per stato parlando di questioni regionali, vola sotto il radar dei media nazionali, passa per i tg e i siti locali, ne esce umanizzata. A livello locale. Sul piano nazionale, è complicato.
La prima donna, ma cattiva
La media elettrice democratica, di mezza età e oltre, continua a votarla. Non perché sogna la prima presidente donna, «era una cosa di due elezioni fa»: la vota perché la ritiene l’unico candidato sensato. Perché sua figlia e suo marito votano Bernie, e lei controbilancia. Si fa carico, anche se non è il massimo né la cosa più giusta, e almeno in questo si identifica con Hillary. In questo, e quasi basta. Clinton viene definita «insincera» (o «disonesta») nella maggior parte dei sondaggi. È detestata dai maschi bianchi e dagli under 30 ambosessi; non pare entusiasmare nessuno tranne alcune donne celebri sue amiche e svariate osservatrici estere. Ma potrebbe conquistare il voto di molti uomini e di molte giovani, quando si voterà per la Casa Bianca, a novembre, se saprà essere moderatamente cattiva.
O non buona; magari «badass», tipa tosta, come è stata per 11 ore davanti alla commissione d’inchiesta su Bengasi e le e-mail, per le quali è ancora indagata. Ora c’è chi propone un messaggio subliminale tra i repubblicani: alla «va bene, non è un giglio, ha fatto dei pasticci, ma è l’unica alternativa ai disastri politici e soprattutto economici possibili con Trump». Al netto del cinismo, consigli del genere segnalano un’evoluzione: la candidata, per quanto donna, non deve essere virtuosa. Niente santa Hillary, casomai una veterana della politica. Che appaia solida di fronte al narcisista, sbracato, trascinante Trump.
The Donna
Intanto, The Donald mostra come parità nei comportamenti e nella comunicazione, al momento, non ce ne sia. Ha l’età di Hillary e può comportarsi malissimo perché è un uomo. Sul serio: «Immaginate una candidata che chiameremo The Donna», ha scritto Frank Bruni sul New York Times. Al terzo matrimonio, infedele seriale, «dagli appetiti sessuali prodigiosi, almeno secondo le sue frequenti e volgari rivendicazioni. Con una tendenza a parlare degli uomini come pezzi di carne di disparata succulenza... Quanti voti prenderebbe?» (The Donna non esiste; esiste The Hillary, può battere Trump grazie al voto delle donne e delle minoranze; se le convince ad andare a votare).
Il paradosso dell’empatia
Clinton, accusata da Sanders di essere la candidata di Wall Street e dai repubblicani di essere il male assoluto (per ora), detesta fare campagna elettorale. Ha un approccio robotico con gli sconosciuti, è considerata meno empatica di certi candidati ultraliberisti insensibili ai poveri poco produttivi. Però, per anni, il suo primo obiettivo è stato il più empatico che ci sia, negli Stati Uniti: la riforma sanitaria. Non l’ha fatta lei, né quando ci ha provato da first lady, né da presidente (una riforma è passata, viene detta Obamacare, è meno avanzata di quella proposta da Hillary). Ma ora Hillary è la donna che – al netto di trame e trappole, nei due partiti – affronterà un candidato presidente noto per il sessismo da reality show. Più che apparire empatica, dovrà far risultare lui sboccato e inaffidabile. E convincere le ragazze del «mi piacerebbe votare una donna, ma lei non è quella giusta».
Il comma 22 dell’ambizione femminile
Team Clinton, in questi giorni, sta scatenando blogger femmine che analizzano i suoi picchi di popolarità. E mostrano come, quando è in carica, è apprezzatissima (come segretario di Stato batteva tutti nei sondaggi). Mentre crolla nel gradimento «quando cerca una promozione». È un comma 22, scrive la commentatrice Ann Friedman; blocca tante donne brave sul lavoro. È vero, ma non basterà. Se le americane eleggeranno Clinton, rifletteranno sulla prima donna alla Casa Bianca solo dopo aver festeggiato lo scampato pericolo, si teme.