Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2016
Riduzione del debito, istruzioni per l’uso
La flessibilità di bilancio per il 2016 e lo “sconto” sul deficit 2017, certamente, ma soprattutto il segnale che Bruxelles (e i mercati) attendono dopo otto anni di crescita ininterrotta: l’inversione di tendenza sul debito, che dovrebbe attestarsi in una forchetta compresa tra il 131,4% e il 132,2% del Pil, contro il 132,6% dello scorso anno. Ora che l’insieme dei documenti che corredano il percorso delineato dal “semestre europeo” converge verso una rinnovata sorveglianza sui conti pubblici italiani, si chiarisce ancor più la portata degli impegni cui è chiamato il Governo da qui al prossimo autunno. A partire dalle risorse da individuare entro qualche mese (voluntary disclosure e calo dei tassi) per far fronte allo scostamento di 3 miliardi che si delinea per il 2016. Sono almeno tre le incognite che rendono complesso il rispetto dell’impegno, ribadito anche ieri dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ad avviare da quest’anno il percorso di riduzione del debito: la variabile crescita (l’1,6% previsto dalla Nota di aggiornamento del Def di settembre non regge più), gli incassi che sarà possibile conseguire grazie alle privatizzazioni, l’inflazione tuttora lontana dall’obiettivo del 2% cui sta tendendo a fatica la politica monetaria espansiva messa in atto dalla Bce.
Sulla crescita, la tendenza di gran parte dei previsori nazionali e internazionali (ma anche delle agenzie di rating) è al ribasso delle stime. È la variabile fondamentale. Se si guarda alle ultime previsioni della Commissione Ue, il debito al 132,2% del Pil è “tarato” su una crescita dell’1,4 per cento. A metà maggio, quando verrà formalizzato il giudizio sulla legge di Stabilità del 2015 e sulle clausole di flessibilità chieste dall’Italia, quel target sarà rivisto ulteriormente. Per compensare l’effetto della minore crescita sul debito (ed ecco la seconda incognita) occorrerebbe assicurare almeno lo 0,5% da incassi da dismissioni (attorno agli 8 miliardi). Operazione fattibile? Quanto infine all’inflazione, arduo ipotizzare che la componente interna (consumi e investimenti) possa compensare la tendenza alla stagnazione dei prezzi se non alla deflazione, quale ci viene trasferita dal simultaneo interagire delle variabili esogene (in primis l’andamento del prezzo del greggio).
Non è un caso allora che, in linea con i rilievi contenuti nel «Fiscal sustainability report» del gennaio scorso, anche il capitolo dedicato all’Italia dalla comunicazione sugli squilibri macroeconomici resa nota ieri dalla Commissione Ue ponga nuovamente l’accento sull’elevato debito pubblico e sull’andamento di «protratta debolezza della produttività». Rilievi che non equivalgono all’apertura di una procedura d’infrazione per squilibri macroeconomici eccessivi, ma di cui non si potrà non tener conto già nei documenti programmatici che il Governo invierà a Bruxelles a metà aprile. La linea di difesa del ministero dell’Economia è che l’Italia si colloca «tra i Paesi a basso rischio per la sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche». Tuttavia, senza una crescita decisamente più vigorosa di quella che va delineandosi quest’anno, rispetto allo 0,8% del 2015, sarà complicato rispettare la regola del debito. Le riforme strutturali (il Jobs act, al pari della riforma della Pa) sono ingredienti fondamentali per accrescere il potenziale di crescita dell’economia. In un contesto internazionale in cui il rallentamento dell’economia globale gioca un ruolo fondamentale, l’effetto delle azioni di politica economica rischia tuttavia di perdere per strada il suo potenziale. Ecco perché la flessibilità è necessaria, a fronte di risultati effettivamente conseguiti sia sul versante delle riforme che su quello degli investimenti. Va incoraggiata la riduzione della pressione fiscale (che il Mef fissa al 42,8% nel 2015 al netto del bonus da 80 euro e delle clausole di salvaguardia) da sostenere attraverso un mix di interventi selettivi sulla spesa corrente primaria e recupero di base imponibile grazie a una efficace lotta all’evasione. E la stessa flessibilità prevista dalla comunicazione della Commissione Ue del 13 gennaio 2015 va interpretata con lungimiranza, soprattutto in fasi di persistente incertezza di bassa crescita come l’attuale.